il banco di prova dell'agenzia
Frontex è pronto alla sua campagna d'Africa
L'Ue tratta per schierare la polizia europea in Senegal e arginare i flussi migratori. Ma ci sono dubbi sulla trasparenza. Oggi il vertice con l'Unione africana
L’Unione europea vuole inviare gli uomini e i mezzi di Frontex, la sua forza di polizia di frontiera, a operare per la prima volta lontano dai suoi confini. Il primo paese con cui Bruxelles ha avviato le trattative è il Senegal. Dopo una visita fatta la settimana scorsa a Dakar dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal commissario agli Affari interni, Ylva Johansson, il ministro dell’Interno senegalese ha dato “luce verde per il confronto sulle questioni tecniche”. L’intesa è ancora da definire e ci si aspetta approfondimenti ulteriori tra le parti anche oggi a Bruxelles, in occasione dell’apertura del VI summit fra Unione europea e Unione africana.
Si tratta di un banco di prova importante per la Commissione Ue – che ha stanziato per i prossimi anni un budget di oltre 4 miliardi di euro da spendere per il dossier dell’immigrazione proveniente dall’Africa – e soprattutto per Frontex. Da tempo Fabrice Leggeri, il direttore dell’agenzia più ricca e potente d’Europa, oggetto di critiche perché sospettato di avere occultato le prove dei respingimenti illegali dei migranti nel Mediterraneo, cerca il giusto teatro operativo in cui impiegare il Corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea. Entro il 2027 gli uomini arruolati da Frontex saranno 10 mila e già ora sono autorizzati a portare armi, vestono le insegne e la divisa dell’Ue e hanno a disposizione droni e motovedette.
Il Senegal è il paese perfetto per testare le abilità del corpo di polizia europeo. Oltre a essere via di partenza e di transito lungo le rotte migratorie, vanta una certa stabilità – dettaglio non da poco, se si considera che in pochi anni, nello stesso quadrante africano, i colpi di stato militari hanno fatto saltare i governi di Mali, Guinea e Burkina Faso. Il sistema di libera circolazione di beni e persone della Comunità economica dell’Africa occidentale (Ecowas) fa sì che l’unica vera frontiera terrestre da sorvegliare sarebbe quella fra Senegal e Mauritania e quindi il grosso delle forze europee aeronavali si concentrerebbe lungo i quasi 3 mila chilometri di costa atlantica del paese. Da qui nel 2021 sono transitate oltre 19 mila persone dirette 1.500 chilometri più a nord, fino alle Canarie, un viaggio molto pericoloso che richiede circa due settimane di navigazione. Numeri, quelli della rotta atlantica, che secondo l’agenzia europea sarebbero più gestibili rispetto a quelli che interessano altre aree, come quella del Mediterraneo centrale, dove i flussi sono quasi il doppio. La più interessata a che il progetto vada in porto è ovviamente la Spagna, che ha chiesto di rivestire un ruolo di primo piano nell’operazione. In cambio di accogliere sul suo territorio una polizia straniera e di riprendersi i migranti irregolari respinti dall’Europa – tema delicatissimo –, il Senegal si aspetta un pacchetto cospicuo di aiuti economici per aiutare la ripresa post pandemica e probabilmente un sistema di visti facilitato per chi desidera recarsi in Europa a lavorare.
Lo strumento che l’Ue userà per concludere l’intesa è quello dell’Operational Coordination Mechanism for the External Dimension of Migration (Mocadem), un organo nuovissimo, investito di un significato politico non indifferente perché sarà in base a questo meccanismo intergovernativo che prenderà forma nei prossimi anni la gestione delle frontiere esternalizzate tanto voluta dai leader europei – Emmanuel Macron in primis. Lo scorso 2 febbraio, in occasione del vertice dei ministri dell’Interno dell’Unione a Lille, il presidente francese annunciò la volontà di creare un consiglio rafforzato per monitorare le politiche migratorie dell’Ue. In realtà, già il 30 dicembre 2021 un documento della presidenza del Consiglio dell’Ue annunciava la creazione di questo nuovo organo che ha fra i suoi compiti anche quello di coordinare i negoziati per concludere accordi con i paesi di origine delle rotte migratorie – come il Senegal, appunto. Secondo Macron, questo approccio rafforzato avrebbe facilitato l’adozione di politiche migratorie efficaci, superando la paralisi decisionale dell’Ue. Ma è proprio qui che si crea il primo di due problemi legati alla trasparenza di questi accordi con paesi terzi. Chi gestirà il Mocadem sarà il Coreper, cioè gli ambasciatori dei paesi dell’Ue, un organo intergovernativo e difficile da monitorare. Il secondo tema legato alla trasparenza riguarda l’immunità che Frontex chiede ai paesi in cui intende schierare i suoi uomini e che è uno dei nodi dei negoziati in corso con il Senegal. Alcune ong hanno protestato perché, dicono, l’agenzia chiede ai paesi terzi di avere mano libera nella gestione dei migranti. Visti i precedenti in Grecia – dove Frontex è accusata di avere chiuso gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti – i dubbi potrebbero essere leciti.