Verso l'autocrazia

Il presidente Saied dissolve il Csm e riporta la Tunisia indietro di dieci anni

Arianna Poletti

A sei mesi dall’abolizione del Parlamento il 25 luglio, il giurista di formazione ed ex professore di diritto completa così il processo di accentramento dei poteri

Tunisi. Domenica mattina i cittadini tunisini si sono svegliati, ancora una volta, in un paese in cui l’assetto istituzionale non corrisponde più a quello del giorno precedente. Nella Tunisia di Kais Saied le dichiarazioni arrivano spesso in piena notte, direttamente sui social. Sono circa le tre del mattino di sabato quando sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica tunisina appare il testo del decreto presidenziale che conferma le parole pronunciate dal presidente qualche giorno prima: il Consiglio superiore della magistratura verrà dissolto. A sei mesi dall’abolizione del Parlamento il 25 luglio, Kais Saied completa così il processo di accentramento dei poteri. Il presidente tunisino, infatti, controlla ormai non solo l’esecutivo e il legislativo, ma anche il potere giudiziario. E i cambiamenti imposti dal palazzo di Cartagine, in attesa dell’approvazione della nuova Costituzione e delle legislative di dicembre 2022, non sembrano finire qui: da giorni circola la bozza del prossimo decreto legge, che prende di mira la società civile tramite l’istituzione di un organo di controllo dei fondi versati a ong e associazioni nazionali e internazionali. 

 

Per quanto riguarda il nuovo decreto legge sul Csm, il testo annuncia non solo la sua dissoluzione, ma anche la creazione di un Consiglio di transizione nominato dallo stesso presidente in attesa di una nuova legge che regoli l’organo. Il nuovo Csm sarà composto da tre sezioni: il Consiglio giudiziario, quello amministrativo e quello finanziario. “Secondo gli standard internazionali, perché un Csm sia considerato indipendente almeno la metà dei giudici deve essere eletta da loro pari, cosa che con il nuovo Consiglio ad interim non avverrà”, spiega al Foglio Saïd Benarbia, direttore per l’area Mena di Advocates for justice and human rights. Che conferma: l’esecutivo mette le mani sul Csm, come accadeva prima del 2011. D’ora in poi, si legge nel testo, ai giudici non sarà nemmeno più concesso “scioperare” o “organizzare azioni collettive”. Il 9 e il 10 febbraio, i magistrati hanno fatto in tempo a scendere in piazza per manifestare contro la decisione del presidente. Anche se le associazioni dei magistrati chiedono di “boicottare un decreto non valido”, le decisioni di Kais Saied diventano realtà prima ancora di essere rese pubbliche: l’entrata del Csm è stata bloccata dalla polizia ben prima del decreto presidenziale. 

 

Il sistema giudiziario tunisino che è andato costituendosi durante gli anni della transizione democratica non era certo perfetto, a partire dall’assenza della Corte costituzionale che ha reso possibile il colpo di mano di Saied proprio in nome della Costituzione. “L’istituzione del Csm nel 2014 ha cristallizzato confitti professionali e politici ereditati dal potere autoritario di Ben Ali”, spiega in un rapporto sul Csm Éric Gobe, autore di Gli avvocati in Tunisia dalla colonizzazione alla rivoluzione, che racconta “il timore di un’eccessiva autonomia professionale dei magistrati” da parte della scena politica post rivoluzione. Fin dal 2011, la società civile denuncia l’uso politico da parte di alcuni giudici del codice penale tunisino, ancora estremamente repressivo e in contraddizione con la Costituzione stessa. Ad alimentare le polemiche in questi anni sono state anche le proteste dei lavoratori della giustizia, che reclamano migliori condizioni di lavoro e stipendi adeguati. “Nella Corte di Cassazione di Tunisi, la più alta giurisdizione del paese, i dossier sono sparsi per terra nei corridoi”, raccontava a dicembre alla stampa locale il giudice in pensione Ahmed Souab. “I giudici lavorano con il proprio computer portatile, non hanno a disposizione il materiale necessario”, precisava il media d’inchiesta Nawaat. Che si chiede: ma dove sono finiti i fondi europei? L’Unione europea, infatti, ha finanziato la transizione giudiziaria nel paese con un programma dal valore di 65 milioni di euro, si legge sul sito dell’Ue in Tunisia. Fondi a pioggia arrivati direttamente nelle mani del ministero della Giustizia, e non si sa come siano stati usati. 

 

Se una riforma del sistema giudiziario è necessaria in Tunisia, la dissoluzione del Csm va in tutt’altra direzione. La decisione era nell’aria da tempo. Le critiche agli organi della giustizia tunisina del presidente Kais Saied, giurista di formazione ed ex professore di diritto, non sono nuove. Fin dall’estate scorsa  il presidente si appoggia alla giustizia militare per rispondere, a suo dire, “all’inefficienza di quella civile”. Da allora sette deputati sono finiti di fronte alle corti dell’esercito, e un mandato di arresto internazionale è stato emesso nei confronti dell’ex presidente tunisino Moncef Marzouki, accusato di “complottare contro il paese” perché ha rilasciato dichiarazioni critiche nei confronti del presidente.

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