L'aggressione

Nel Donbass i filorussi bombardano per provocare la risposta dell'esercito ucraino

I separatisti e Mosca danno la colpa a Kiev che è presa in ostaggio dalle azioni militari russe e dalla pressione diplomatica occidentale

Micol Flammini

Sono stati colpiti obiettivi civili e militari e anche un asilo nell'oblast di Lugansk. La Russia ha detto a Washington che se non otterrà le sue garanzie sulla sicurezza è pronta a misure di natura tecnico-militare

[Aggiornamento venerdì 18 febbraio] La Russia ha annunciato che domani, 19 febbraio, prenderanno il via importanti esercitazioni con lancio di missili balistici e da crociera. Le operazioni saranno supervisionate dal presidente Vladimir Putin.


 

I filorussi hanno sparato colpi di mortaio e artiglieria pesante al di là della linea del fronte che divide il territorio ucraino da quello conquistato dai separatisti aiutati da Mosca. Il cessate il fuoco nel Donbass è stato violato più di quaranta volte da parte delle forze delle due sedicenti repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Una granata ha raggiunto un asilo a Stanytsia Luhanska, nel territorio in mano all’esercito ucraino dell’oblast di Lugansk: sono state ferite due insegnanti, ma non ci sono stati morti. I separatisti negano che i colpi siano stati sparati da loro, qualcuno ha quindi interpretato il bombardamento come una false flag operation, un’operazione orchestrata per giustificare un attacco contro l’Ucraina, ma con poco senso: un’operazione di sabotaggio fatta per giustificare una rappresaglia sarebbe dovuta avvenire nel territorio occupato dai filorussi. E non si è trattato neppure di un errore: sono stati colpiti numerosi obiettivi militari e civili nella zona di Lugansk, anche una stazione ferroviaria e alcune linee elettriche: non ci sono morti, il bilancio dice che sono stati feriti due militari ucraini e tre civili.  

 

L’obiettivo di questi attacchi crescenti è provocare la reazione degli ucraini  per poi mostrare la prove delle violenze di cui tanto parlano i media russi e i filorussi. I soldati dell’esercito di Kiev dicono che la situazione è tesa, ma le azioni militari non sono superiori alla norma, e  dal governo hanno ricevuto l’ordine di non reagire per evitare di dare pretesti ai russi per un attacco contro la nazione. L’Ucraina subisce le condizioni di questa situazione. Non può agire perché teme che ogni risposta diventi un invito ad attaccare, può solo subire e stare immobile, aspettando che i russi chiariscano se intendono iniziare una guerra o è solo un bluff. Non servivano altri elementi per capirlo, ma questa condizione di immobilità è la conferma che l’Ucraina è un paese in ostaggio. Il segretario di stato americano, Antony Blinken, giovedì ha detto che  l’invasione potrebbe essere questione di giorni e il pretesto russo per attaccare potrebbe includere anche un attacco chimico. Anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha parlato di un conflitto vicino e alcune fonti alla stampa americana hanno indicato come data possibile la fine delle Olimpiadi. 

 

L’annuncio del ritiro delle truppe da parte di Mosca era stato già bollato come “falso”: più che un ritiro sembra un riposizionamento e alcuni dei mezzi che erano disposti in Crimea si stanno muovendo verso  loro basi – come aveva annunciato Mosca – che però si trovano sul confine orientale con l’Ucraina. Altre invece andranno in Cecenia. L’esercito russo è sempre in posizione e anche la propaganda lo è. L’incremento delle azioni militari arriva dopo due giorni in cui i media statali russi e i separatisti continuano a spargere notizie di provocazioni ucraine nel Donbass. Anche il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, giovedì ha parlato di azioni provocatorie che si sono intensificate negli ultimi giorni. Nessuna di queste provocazioni è stata confermata ma si teme che possano creare un pretesto per Mosca per lanciare un attacco: c’è popolazione russa anche nel territorio controllato dall’esercito di Kiev e i media statali russi stanno dicendo che i bombardamenti sono ordinati da Kiev e che le forze separatiste sono state costrette a rispondere. Anche il capo del Cremlino, Vladimir Putin, durante la conferenza stampa di martedì con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha detto che la popolazione di origini russa nel Donbass è vittima di “genocidio” e i rapporti dei propagandisti russi sui bombardamenti servono a creare le prove per queste violenze. La parola genocidio circola sui media dei russi e dei separatisti da tempo, ma era la prima volta per Putin. 

 

Ecco alcune notizie false diffuse dai separatisti: L’Ucraina prepara un attacco navale nel Mare di Azov; Zelensky si prepara a lasciare Kiev e a spostare il governo a Leopoli (oggi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky era proprio fra le truppe nella zona di Donetsk); le forze ucraine hanno bombardato nove città del Donbass. Nessuna di queste notizie diffuse dai separatisti filorussi aiutati da Mosca è vera, servono tutte a giustificare un’azione militare contro il territorio ucraino. 

 

Il bullismo di Mosca nei confronti dell’Ucraina non si è visto soltanto dalle azioni militari, ma è emerso anche dalle risposte che la Russia ha consegnato agli Stati Uniti riguardo alla sicurezza. Il ministero degli Esteri le ha date a John Sullivan, ambasciatore americano a Mosca, e nella medesima occasione gli ha comunicato l’espulsione del suo vice, Bartle Gorman. La Russia ha presentato a Washington le stesse pretese già pubblicate nel dicembre scorso ma in modo ancora più netto, e in più ha aggiunto: nel caso in cui le richieste non vengano accolte, “la Russia sarà costretta a rispondere, anche attuando misure di natura tecnico-militare”. Mosca non ha chiarito cosa intenda per risposta di “natura tecnico-militare”, ma il punto sta proprio nella vaghezza e in questa vaghezza è incastrata l’Ucraina. Mosca chiede di cessare tutte le forniture di armi all’Ucraina, di ritirare le armi già fornite, ritirare le forze americane dai paesi baltici e dell’Europa orientale e ovviamente vuole il rispetto degli accordi di Minsk. 


Giovedì dall’ambasciata russa a Kiev usciva del fumo che lasciava intuire che all’interno stessero bruciando dei documenti sensibili o prove. Le ambasciate distruggono documenti prima di una fuga, e i diplomatici di Mosca non avrebbero motivo di lasciare Kiev ora, a meno che non sappiano che il Cremlino sta davvero mettendo in conto un’aggressione. Il fatto di essere stata messa con le spalle al muro dalla strategia americana che in questi giorni ha anticipato ogni mossa prevista da Mosca, potrebbe aver portato la Russia ad aumentare la tensione, a reagire proprio nel giorno in cui ha consegnato le sue risposte a Washington.

 

Ma la diplomazia prova ad andare avanti e questo non è detto che faccia sentire Kiev, che è il campo di battaglia, più al sicuro. Blinken ha invitato Lavrov a incontrarsi in Europa la prossima settimana. Il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi volerà presto a Mosca e, al vertice dei capi di stato e di governo dell’Ue, ha detto che l’obiettivo ora è organizzare un incontro tra i presidenti di Russia e Ucraina: “L’obiettivo è far sedere Putin e Zelensky attorno allo stesso tavolo”. Ma se qualcosa si muove sul fronte della diplomazia a farne le spese con molta probabilità potrebbe essere l’Ucraina. Sia gli accordi di Minsk, sia la sua neutralità rispetto alla Nato sono scelte rischiose che potrebbero provocare proteste contro il presidente Zelensky e, in una condizione di caos e di manifestazioni violente, per la Russia sarebbe molto semplice interferire e instaurare un suo governo fantoccio. Le democrazie occidentali però sembrano disposte a spingere Kiev verso un compromesso rischioso con Mosca e fanno molta pressione mentre, secondo Bloomberg, Italia, Francia e Germania starebbero lavorando per ammorbidire le eventuali sanzioni contro Mosca. Oltre che delle bombe nel Donbass, delle truppe fuori dal confine, l’Ucraina è ostaggio anche della diplomazia. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)