Tutte le volte che la Russia ha detto una cosa e ha fatto il contrario
Che il Cremlino inganni gli interlocurori è procedura standard. Ecco i brutti precedenti capitati prima di una guerra
In questi giorni il presidente russo Vladimir Putin mantiene l’ambiguità sulle sue intenzioni, che non soltanto è devastante – perché l’attesa di una possibile guerra paralizza l’Ucraina – ma è anche la sua strategia preferita da molti anni. Per questo motivo, fino all’ultimo non sapremo che cosa ha davvero deciso e i precedenti dovrebbero insegnarci qualcosa. Ripercorriamo i più celebri. A metà settembre 2015 c’era molto interesse per le esercitazioni navali della Russia nel Mediterraneo orientale. Forse Putin stava per ordinare un intervento militare in Siria?, era la domanda di tutti gli osservatori e dei governi. Giovedì 24 settembre il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, sgridò i media internazionali.
Disse che tutte le notizie a proposito di un imminente intervento russo in Siria erano “speculazioni che non hanno nulla a che vedere con la realtà”. Inoltre, aggiunse, non sono a conoscenza di un piano del presidente Putin per chiedere al Parlamento russo l’approvazione di una missione militare in Siria. Mercoledì 30 settembre gli aerei russi cominciarono a bombardare in Siria. Poche ore prima il Parlamento di Mosca aveva approvato quasi unanime l’intervento militare deciso a luglio e in segreto da Putin. Tutti i raid aerei furono descritti dal ministero della Difesa russo come “operazioni contro lo Stato islamico” ma in molti casi non presero di mira il territorio controllato dallo Stato islamico e colpirono altri luoghi – dove lo Stato islamico non era presente ma che erano importanti nella guerra per conservare al suo posto il rais siriano Bashar el Assad. Adesso sappiamo che mentre Peskov negava ogni cosa i russi stavano spostando aerei da guerra in Siria e spesso li facevano volare molto vicini ad altri aerei per confondere le tracce radar.
Il secondo giorno di agosto 2008 la Russia dichiarò conclusa l’esercitazione Caucaso 2008, che aveva coinvolto migliaia di soldati al confine con la Georgia. La situazione tra i due paesi era molto tesa ma le truppe russe fecero ritorno alle loro caserme – alcuni reparti furono imbarcati su aerei e il loro equipaggiamento pesante fu spedito via treno. In zona rimasero in pochi. Cinque giorni dopo, la Russia invase la Georgia. Il portavoce Peskov disse: l’esercito della Georgia “ha compiuto azioni provocatorie che ieri si sono ancora intensificate”. Sono le stesse parole che Peskov ha detto ieri, soltanto che invece di riferirsi alla Georgia si riferiva all’Ucraina.
Nel marzo 2014 uomini armati con una divisa verde senza segni di riconoscimento occuparono posti chiave nella penisola ucraina della Crimea: ponti, strade, aeroporti, basi militari. In molti pensavano a ragione che fossero soldati russi mandati da Putin con il compito di annettere quel territorio. I giornalisti cominciarono a fare domande dirette: sono truppe russe? Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, rispose: “Assolutamente no, state scherzando? E’ completamente senza senso”. La sua risposta fu rilanciata dalle agenzie di stato. Anche a Putin fu fatta la stessa domanda e lui rispose: “sono unità di autodifesa locali”. Ma hanno divise che assomigliano molto a quelle dell’esercito russo, insistettero. “Guardate gli stati post sovietici, hanno tutti uniformi che si assomigliano. Potete andare in un negozio e comprare qualsiasi tipo di uniforme”.
Cinque settimane dopo l’inizio delle operazioni, quando ormai il mondo era davanti al fatto compiuto, il Cremlino cominciò ad ammettere che le cosiddette unità di autodifesa erano state aiutate da soldati russi. Un anno dopo Putin riconobbe che gli uomini in divisa verde erano truppe russe mandate da lui. Si potrebbe andare avanti, ma lo standard adottato da molti anni è questo: negare, deflettere, confondere le idee, spiazzare. Mercoledì mentre la Russia annunciava la fine delle esercitazioni e il ritorno di alcuni reparti a casa e sembrava che ci fosse infine un allentamento della tensione, gli osservatori hanno notato che il numero dei soldati russi al confine con l’Ucraina è ancora aumentato: altri settemila. Quest’ambiguità di Putin, assieme alle sue accuse di “genocidio” contro l’Ucraina che giustificano un’operazione militare, rende tutte le decisioni possibili.