l'assordante silenzio
Qui Mosca, dove i russi anestetizzati non sanno lottare per la pace
La paura ferma ogni forma di protesta contro Putin e le sue manovre militari: troppo grandi i rischi di arresti e ritorsioni. Navalny affida agli avvocati il suo messaggio: "Lottate per la pace". Ma “il popolo è instupidito, terrorizzato o emigrato”, dice dal suo esilio londinese l’imprenditore Cichvarkin
L’hashtag #iononrestoinsilenzio raggiunge rapidamente i trend di Twitter, ma non invade la rete, e i social russi continuano ad abbondare di gattini, piatti gustosi e destinazioni vacanziere, anche sulle pagine di molti intellettuali di fama liberale. Nell’agosto del 1968 erano stati in otto a uscire in piazza Rossa per protestare contro i carri armati sovietici a Praga. Una manifestazione durata pochi secondi, e passata alla storia, per lo slogan “Per la vostra e la nostra libertà” diventato la bandiera del dissenso. Nel febbraio 2022, a scendere in piazza a Mosca con i cartelli “Via le mani dall’Ucraina” sono in sei, portati via dalla polizia sotto gli obiettivi dei fotografi, più numerosi dei manifestanti. Che a differenza degli eroi del 1968, condannati ad anni di prigione, rischiano (almeno per ora) soltanto un arresto.
Il silenzio della Russia, dei russi, è assordante. La ragione, in parte, l’ha mostrata il giorno prima lo stesso Vladimir Putin, inscenando il surreale spettacolo del suo Consiglio di sicurezza, trasmesso contrariamente al solito in tv. Il terrore si leggeva sui volti dei reggenti del suo regime – ministri, capi dei servizi, presidenti delle camere e del governo – che, movenze esitanti e voci balbettanti, venivano apostrofati gelidamente dal presidente se sbagliavano a recitare il loro ruolo. Un messaggio per i suoi sudditi: se i ricchi e potenti, gli amici di Putin da una vita, gli inamovibili e impuniti, tremano come scolaretti di fronte al leader supremo, che li osserva con un malcelato sorriso di soddisfazione, i russi comuni non possono nemmeno osare alzare la testa. Il messaggio è stato recepito, e molti di quelli che scrivono #iononrestoinsilenzio postano dall’estero. “Il popolo è instupidito, terrorizzato o emigrato”, scrive su Instagram dal suo esilio londinese l’imprenditore Evgeny Cichvarkin, che non nasconde di finanziare Alexei Navalny. Ogni dissenso è stato silenziato: “Gli ucraini non capiscono perché il grande spirito russo non insorge. Perché abbiamo paura. Paura, cazzo, lo capite? Sono scappato perché avevo paura”.
La paura segna il distacco dagli ucraini meglio di qualunque disquisizione putiniana sulla fratellanza dei popoli: a Kiev si sono abituati a tenere i loro politici sotto il ricatto permanente di una rivolta sul Maidan, i russi evitano qualunque spigolo ancora prima che sorga. Il rischio individuale è chiaramente spropositato: l’ultimo anno ha visto condanne ad anni di carcere anche per semplici post (e perfino repost) su Facebook. Navalny, dal carcere, affida agli avvocati un lungo tweet in cui paragona la decisione di Putin sul Donbas a quella della gerontocrazia brezneviana sull’Afghanistan, una mossa fatale per il regime, e lancia la parola d’ordine “Lottate per la pace”. Un messaggio pubblicato anche in inglese, rivolto all’occidente e destinato a venire registrato per il futuro cambio del regime, per dire che non tutti i russi erano d’accordo con l’invasione dell’Ucraina. Ma anche se i pochi attivisti navalniani rimasti in libertà chiamano a scendere in piazza, nessuno crede all’azione collettiva, e Cichvarkin non vede più speranza “come minimo fino alla morte di Putin”.
È una impotenza imparata che fa risprofondare i russi nella paura preventiva sovietica, e li rende timidamente complici della dittatura. E gli renderà molto più difficile emergerne. Molti ucraini russofoni in questi giorni stanno scegliendo di parlare d’ora in poi soltanto la lingua statale, e molti fanno sempre più fatica a scagionare i cittadini russi dalle responsabilità del loro governo. Mosca non ha rimediato alla sindrome postimperiale scegliendo di diventare una superpotenza culturale, sull’esempio del Regno Unito, e ha condizionato l’uso della lingua e della cultura russi all’adesione a un mitico “mondo russo” unito nei valori del putinismo. Il risultato è stato ovviamente l’opposto: le nuove generazioni georgiane, moldave o ucraine preferiscono studiare inglese. E a voltare le spalle agli ex fratelli maggiori, con i quali condividono sempre meno passato e nessun futuro.