La crisi ucraina
Sanzioni tutte e subito, non c'è tempo per la gradualità davanti a Putin
Uno strumento debole di natura e usarle secondo il metodo “a ogni vostra azione corrisponderà una nostra reazione” potrebbe renderle ancora meno efficienti
In queste ore si discute se l’invasione delle forze militari russe nell’est ucraino sia oppure no un evento trigger, come si dice nei corridoi dell’Unione europea a Bruxelles – vale a dire un evento abbastanza serio da far scattare sanzioni dure contro la Russia. E’ una discussione importante perché Europa e Stati Uniti non combatteranno in Ucraina contro l’avanzata dei russi, ma useranno soltanto le sanzioni economiche come strumento di deterrenza. Per adesso i governi occidentali che hanno deciso di annunciare sanzioni lo hanno fatto con un criterio graduale e progressivo e lo spiegano anche nel modo più chiaro possibile: questo, dicono, è un primo pacchetto di sanzioni e ne seguiranno altri via via più duri se il presidente russo Vladimir Putin continuerà ad aggredire l’Ucraina. Il messaggio è: più invadi, più le sanzioni saranno gravi. Il presidente americano Joe Biden ieri sera lo ha detto proprio così: “Più i russi entrano in Ucraina e più noi saremo risoluti, le sanzioni saranno proporzionali".
I permissivisti sostengono che in fondo la Russia avrebbe invaso territori che controllava già – le due regioni del Donbas nell’est e nemmeno per intero – e quindi la situazione sarebbe meno grave di quello che sembra. Ci sono ragioni per sostenere che invece l’invasione russa è già gravissima adesso, di una gravità che tocca il fondo scala, e quindi centellinare le sanzioni sarebbe controproducente. Andrebbero usate tutte e subito, per togliere ossigeno all’aggressione. Vediamo alcune di queste ragioni. Putin è finalmente uscito dall’ambiguità strategica di questi mesi, che ricopriva come un velo di nebbia la natura reale della situazione, e ha spiegato in modo molto chiaro come vede le cose. Non ci sono più enigmi da risolvere, non ci sono più intenzioni da indovinare, non è più una sfinge. Lunedì ha fatto pubblicare il video del consiglio di sicurezza, poi ha fatto un discorso di un ora e ieri ha tenuto una conferenza stampa. Cos’altro dovrebbe dire? Ha dichiarato che non riconosce l’Ucraina come paese (nega la storia ucraina ma riconosce due “repubbliche” nate nel 2014, se qualcuno ancora credesse alla propaganda del presidente russo) e la considera una minaccia imminente alla Russia – sta costruendo armi nucleari! ha detto – che dev’essere quindi neutralizzata. Dopo così tanto tempo sprecato ad ascoltare il governo russo sostenere che quelle al confine erano soltanto “esercitazioni legittime” e non c’era da preoccuparsi, concedere altro tempo sarebbe sbagliato. Putin vuole smembrare l’Ucraina, ha già cominciato, è in vantaggio e ha i mezzi e gli uomini per farlo. Ha anche chiarito che per lui i confini delle repubbliche separatiste includono anche le zone che oggi sono sotto il controllo ucraino – potrebbe decidere di “liberarle” da un momento all’altro.
Le centosessantamila truppe russe schierate lungo il confine dell’Ucraina sono ancora lì e potrebbero invadere nel giro di ore. Usare le sanzioni soltanto dopo un eventuale bombardamento di Mariupol, il porto nella regione di Donestk, o di Kharkiv a nord, o della capitale Kiev rischia di essere un gesto tardivo, che arriva quando ormai il peggio si è consumato. Le sanzioni sono costose anche per chi le impone, ma il prezzo di un’invasione russa di altri territori in Ucraina e di un conflitto più ampio rischia di essere più alto. Le sanzioni sono uno strumento debole per la loro natura, usarle secondo un metodo “a ogni vostra azione corrisponderà una nostra reazione” potrebbe renderle ancora meno efficienti.