Foto LaPresse / Vadim Ghirda 

La battaglia di Kyiv. Ecco come si difende l'Ucraina

Micol Flammini

Chernobyl’, Kherson, Kharkiv. Le direttrici dell’attacco russo. Sono tante le voci di un governo fantoccio messo da Mosca 

L’attacco della Russia contro l’Ucraina è iniziato durante le prime ore del mattino e in serata il ministero della Salute di Kyiv ha diffuso il bilancio delle vittime: 57 morti, tra militari e civili. Le truppe russe hanno attaccato da tre direttrici. Da sud, la Crimea. Da nord, entrando dalla Bielorussia. E da est, da Kharkiv. Hanno concentrato i loro attacchi contro la capitale Kyiv e le città di Sumy, Kharkiv, Kramatorsk, Luhansk, Donetsk, Mariupol’, Dnipro, Cherson e Odessa, contro gli aeroporti e secondo il ministro della Salute Viktor Lyashko sono stati presi di mira anche gli ospedali. L’esercito ucraino ha continuato a difendersi, riprendendo anche zone che durante la giornata di combattimenti erano finite in mano ai russi. A Chernikiv, nel nord, i militari sono stati in grado di accerchiare la 74esima brigata meccanizzata fucilieri. Un sottufficiale russo catturato ha detto: “Non eravamo qui per combattere, raccoglievamo informazioni”. Sono tante le zone critiche.

 

A Chernobyl’, che i russi hanno raggiunto passando dalla Bielorussia e con il supporto dell’esercito di Minsk, i soldati  hanno catturato la zona della centrale nucleare, negli scontri, secondo un consigliere del ministero dell’Interno di Kyiv, è stato distrutto un impianto di stoccaggio di scorie nucleari. Nelle ore precedenti, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva chiamato l’attacco alla centrale “una dichiarazione di guerra all’intera Europa”.

 
A est, Mosca è invece riuscita a entrare nella città di Sumy, ma durante combattimenti pesanti sulla linea del Donbas ha respinto gli attacchi vicino a Mariupol’ e ha ripreso Schastya. A sud l’esercito ucraino non è riuscito a contenere l’offensiva russa nella regione di Kherson, dove c’è il canale idrico che riforniva la Crimea, era stato bloccato dall’Ucraina nel 2014 e ieri ha ricominciato a funzionare. Da Odessa, dove si è combattuto soprattutto al sud, con un messaggio trasmesso da un altoparlante la marina russa esortava gli ucraini ad arrendersi e passare con l’esercito di Mosca. 

 

La capitale si è svuotata durante il giorno, chi ha potuto ha cercato di andarsene, il sindaco Vitali Klichko ha imposto il coprifuoco, i bombardamenti hanno colpito i dintorni della capitale dove erano concentrati alcuni obiettivi di interesse militari. Le paure per la tenuta della capitale sono aumentate quando le unità ucraine hanno perso il controllo dell’aeroporto di Antonov a Hostomel, che si trova a 10 chilometri da Kyiv. Sembrava che i russi avessero prevalso, ma gli ucraini hanno continuato a combattere. Gli elicotteri Mi-8 hanno preso d’assalto la struttura, che può essere usata come testa di ponte per le manovre verso la capitale. In serata si è diffusa la notizia che da Pskov in Russia fossero partiti 18 aerei Il-76 diretti verso Kyiv. Alcune fonti dell’intelligence americana hanno detto che  potrebbe cadere in pochi giorni e che a quel punto Mosca impiegherebbe meno di una settimana per instaurare un governo fantoccio, che potrebbe essere guidato dall’oligarca Viktor Medvedchuk. Come prima mossa avrebbe il dovere di riconoscere che la Crimea è territorio russo, poi assicurare autonomia alle due repubbliche che Mosca ha riconosciuto come indipendenti, Donestk e Luhansk, e rinunciare definitivamente all’adesione alla Nato.

 

A legittimare  questo governo pilotato da Mosca probabilmente sarebbero soltanto la Bielorussia, il Kazakistan e forse anche gli altri membri della Csto, l’Organizzazione del tratto di sicurezza collettiva. L’esercito ucraino in questi otto anni di guerra è cresciuto molto. Nel 2014 contava 130.000 soldati mal addestrati e poco equipaggiati, ora ha 209.000 membri delle forze armate e 900.000 riservisti e un appello a unirsi al combattimento è stato esteso anche al resto della popolazione. La spesa militare in Ucraina è quasi raddoppiata, secondo i dati della Banca mondiale nel 2020 sono stati destinati alla difesa 6 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti gli aiuti Nato, stimati attorno ai 14 miliardi, e americani, che hanno fornito all’Ucraina più di 2,5 miliardi di dollari l’anno dal 2014. Le debolezze dell’esercito ucraino stanno nella sua tecnologia; nella sua aviazione – alcuni aerei sono vecchi, i piloti sono poco addestrati, sicuramente meno degli occupanti russi – e la marina che conta solo 11.000 membri contro i 150.000 russi. Gli alleati occidentali hanno cercato di ovviare a queste pecche, soprattutto negli ultimi mesi, da quando Mosca ha incominciato a circondare l’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno inviato circa 200 missili anticarro Javelin, motovedette costiere, fucili di precisione, droni di ricognizione e veicoli Humvee, sistemi radar, visione notturna e apparecchiature radio. La Turchia da anni fornisce i droni Bayraktar TB2, che sono stati già sperimentati nel Donbas. La Gran Bretagna ha fornito circa 2.000 missili anticarro e veicoli corazzati. Estonia, Lettonia e Lituania hanno inviato missili Stinger, altre nazioni hanno mandato munizioni.

 

Molti analisti ritenevano che a fare la differenza tra un esercito molto forte e uno che si era rafforzato solo negli ultimi anni fosse la qualità dei soldati. Gli uomini di Mosca sono mal pagati, sono lì per guadagnarsi da vivere, gli ucraini difendono il loro paese. In queste ore arrivano molte notizie dalla Russia, meno da Kyiv, se a un certo punto il fattore umano farà la differenza non si sa, ma come ha detto il presidente Zelensky, che è a rischio come presidente e come uomo, le sirene e dei bombardamenti hanno il suono di una nuova cortina di ferro che esclude la Russia dal mondo civilizzato

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)