L'analisi

La guerra di Putin è il segno della debolezza del suo regime

Ecco perchè è necessario reagire

Jean-Pierre Darnis

Come nella crisi finanziaria del 2008, e nella pandemia del 2020, la crisi ucraina rappresenta già un concreto scenario di approfondimento dell’integrazione

La Russia è passata all’azione militare in Ucraina, una mossa che pensavamo aver consegnato ai libri di storia. Si tratta di un’ennesima e per molti versi assurda pretesa ideologica di risolvere le proprie contradizioni con la guerra, una vera e propria fuga in avanti per una leadership arroccata alla manichea visione dell’uso della violenza e della forza come fattore assoluto, sia di interpretazione del mondo sia di momento risolutivo.

 

La Russia oscilla fra un’interpretazione ultranazionalista della propria storia e una teoria dell’occidente nemico, due elementi che si scontrano con la realtà dei fatti ma anche con il buon senso. La storia del Novecento, e non soltanto, ci ha insegnato a diffidare di queste visioni che sono sempre finite male per chi le ha adoperate. Il regime russo pagherà probabilmente a caro prezzo questo errore di interpretazione, perché una tale dissonanza cognitiva non può che ampliare le falle nel consenso interno. Come la guerra in Afghanistan aveva contribuito alla fine dell’Unione Sovietica, il conflitto in Ucraina rappresenta anche un segno dello strutturale indebolimento del regime putiniano. Se fino ad oggi gli Ucraini potevano accomodarsi di una realtà politica mista, anche con alcuni compromessi con l’endemica corruzione, la guerra farà sicuramente progredire l’idea riformista e democratica, con un meccanismo paragonabile alla disfatta dei regimi collaborazionisti durante la seconda guerra mondiale.

 

Per l’Unione Europea il colpo è pesante. Formalmente né l’Unione né la Nato vengono aggredite e quindi possiamo trincerarci nella confortevole posizione di “non dover morire per Kiev” perché non scatta nessun meccanismo di risposta militare automatica. Ma non possiamo essere indifferenti. Da un punto di visto etico e morale l’unilateralismo dell’aggressione russa sta suscitando l’obbrobrio generale. Ma anche dal punto di vista politico sappiamo bene che l’Ucraina, con il Maidan del 2013 e la firma del trattato di libero scambio del 2014 ha scelto l’Unione Europea come polo di riferimento e di potenziale integrazione, compiendo un percorso paragonabile a quello dei paesi che hanno aderito nel 2004. E quindi abbiamo la netta percezione di un attacco indirettamente rivolto a noi, il ché crea molto disaggio anche perché non si capisce fino a che punto possiamo e vogliamo reagire. Al di là del legittimo dibattito sulla nostra riluttanza ad usare gli strumenti della potenza o ad acquisirne nuovi al livello europeo, l’invasione dell’Ucraina sta producendo una serie di effetti sull’Unione. Si è già ampliamento commentato sull’unità ritrovata del campo occidentale, con una Nato compatta e che ritrova la sua ragion d’essere di fronte al nemico russo. Ma soprattutto dobbiamo constatare che di fronte alla minaccia le posizioni dei vari paesi, ma anche della società europea nel suo insieme, stanno esprimendo una visione comune.

 

Dopo gli anni del sovranismo e delle fantasie nazionaliste, la crisi del Covid aveva già costituito un concreto scenario di difficoltà nella quale sia l’effettiva solidarietà che la solidità delle istituzioni dell’Unione era emersa con forza. Oggi l’aggressione Russa crea, a nostro malgrado, un ulteriore senso di comunanza per fronteggiare il nemico, il ché sia mette a tacere gli alfieri del relativismo filorusso antioccidentale, ma permette anche di pensare a una serie di meccanismi comuni a sostegno dell’economia, includendo forme di trattamento comunitario dell’approvvigionamento energetico. Come nella crisi finanziaria del 2008, e nella pandemia del 2020, la crisi ucraina rappresenta già un concreto scenario di approfondimento dell’integrazione. E dobbiamo ribadire il paradosso dell’assoluta svista russa. Una Russia che disdegna a tal punto l’Europa, percepita come fragile, che crea con le sue azioni le condizioni e l’ulteriore consenso politico per assicurarne il progresso e il rafforzamento. Tutto questo pagato al caro prezzo dell'orrore della guerra, un passaggio che tutte le donne e uomini di buona volontà avrebbero voluto evitare.