Ecco la storia di una vittima civile della cosiddetta “denazificazione” voluta da Putin
Troppe perdite e troppe sconfitte. Comincia la fase più temuta: il presidente russo in Ucraina ordina di aumentare la violenza. La storia di Svetlana Kuprienko
Kyiv, dal nostro inviato. La storia di una vittima civile della cosiddetta “operazione speciale di denazificazione” ordinata dal presidente russo Vladimir Putin in Ucraina comincia dopo l’esplosione al reattore di Chernobyl nel 1986. Un’associazione della Val di Sole in Trentino decide di offrire a trenta ragazzi ucraini della regione colpita quattro settimane da ospiti in trenta famiglie italiane. Ancora oggi nella regione di Chernobyl ci sono ottimi ricordi dell’Italia grazie a queste iniziative, che furono l’incontro tra due mondi lontani. Svetlana Kuprienko arriva sul bus assieme agli altri bambini, la accolgono Mirella Niccolai e il marito. “Avevamo pensato che era meglio se a ospitare i bambini ucraini fossero state famiglie che avevano già bambini, per aiutarli a socializzare. Avevamo organizzato le quattro settimane di vacanza in modo che avessero sempre qualcosa da fare, che fosse una visita, o andare in piscina, oppure una gita, o andare a cavallo. Ci intendevamo a gesti”, racconta al Foglio. Svetlana era “una bambina sveglia, carina e altruista. Quando uno degli altri bambini aveva un problema lei faceva da mediatrice”. Le quattro settimane finiscono, i rapporti continuano, una donna ucraina in Italia si occupa di tradurre le lettere che arrivano in cirillico dai bambini e di rispondere. Passano altre estati in Trentino, le famiglie italiane riescono anche a ricambiare la visita nel piccolo paese di Marjanivka, a trenta minuti di auto da Chernobyl.
Svetlana con la sorella Alessia è diventata di famiglia ormai, “sono le nostre ragazze, mia figlia e loro due”. “Poi abbiamo preso a scriverci sempre su Messenger e su WhatsApp”. Svetlana si ammala di leucemia, la sua seconda famiglia italiana le fa arrivare medicine, lei guarisce, si sposa, ha tre bambine. “Una mattina alle sei mi scrive: in Ucraina è arrivata la guerra”. Domenica 27 febbraio “ricevo un messaggio da Alessia, dice di pregare per Svetlana. Non ricevo più messaggini da lei. Mi arrivano altri messaggini come: c’è una cosa che dobbiamo dirti ma non riusciamo a dirtela”. Un bombardamento russo ha ucciso sette civili nel piccolo centro di Marjanivka, in Ucraina vicino al confine con la Bielorussia, secondo fonti dirette sentite dal Foglio. Un video girato poco dopo la strage mostra quattro cadaveri in abiti civili conciati molto male dall’esplosione, vicino al muro di un edificio accanto a una scuola che la popolazione locale usava come rifugio durante i bombardamenti. C’è anche Svetlana, stesa con la faccia verso terra. “Aveva passato la notte con le tre bambine, è uscita perché voleva andare a casa a prendere dei cambi per loro”. E’ possibile che a uccidere quelle persone sia stato un colpo di cannone.
Marjanivka, dove abitava la donna, si trova vicino a una delle direttrici scelte dall’esercito russo per invadere il paese e marciare sulla capitale. Comincia la fase più temuta della cosiddetta “operazione speciale di denazificazione” lanciata dal presidente russo Vladimir Putin: quella che travolge i civili. Dopo una settimana di frustrazione e sconfitte per l’esercito russo, che credeva di raggiungere e prendere con molta più facilità Kyiv, la violenza dei militari sale di livello. Una fonte d’intelligence occidentale spiega ad Associated Press che cinquemila soldati russi sono stati uccisi o catturati in sei giorni – se fosse vero sarebbe un numero alto, superiore al numero dei soldati persi dagli Stati Uniti in vent’anni di guerra in Afghanistan. Per questo si teme che la Russia scelga la soluzione brutale. Ieri il primo bombardamento russo sulla capitale Kyiv ha distrutto il ripetitore della tv e ha ucciso quattro persone – sulla collina che affaccia sul fossato di Babi Jar, dove più di trentamila ebrei di Kyiv furono massacrati dai soldati nazisti nel 1941. Ci si aspettano altri bombardamenti sulla città.