Granaio ucraino: il rincaro del pane preoccupa il medio oriente
Ucraina e Russia sono tra i principali produttori di grano al mondo: assieme rappresentano il 29 per cento delle esportazioni globali. La guerra e le sanzioni preoccupano i mercati, dove i prezzi sono aumentati come non si vedeva dal 2008. Il rischio maggiore è la stabilità del medio oriente che importa grandi quantità
Il granaio del mondo: così è spesso definita l’Ucraina, paese di terre nere e fertili, oggi solcate dai cingolati russi. Non sono soltanto i destini delle forniture di gas a preoccupare in queste settimane i mercati. Il prezzo del grano oscilla fin dai giorni prima dell’invasione: ha toccato il minimo storico dal 2012 e il massimo dal 2008. Accade in un anno di inflazione, negli Stati Uniti e in Europa, in cui i prezzi del cibo sono troppo alti per le famiglie, già in ansia per bollette di luce e gas.
Ucraina e Russia sono tra i principali produttori di grano al mondo: assieme rappresentano il 29 per cento delle esportazioni globali. Dall’alba del 24 febbraio, l’invasione russa minaccia i campi dell’Ucraina, il lavoro degli agricoltori, mette in pericolo le navi container nei porti del mar Nero, da dove salpano prodotti esportati. Poi c’è la Russia: non è ancora chiaro come le sanzioni imposte dalla comunità internazionale influiranno sulla produzione e vendita di grano. Di certo, c’è il blocco imposto da Mosca alle esportazioni di nitrato di ammonio, tra gli elementi alla base dei fertilizzanti usati nel mondo per coltivare: un ulteriore fattore che rischia di gonfiare i prezzi globali del cibo.
Ci sono paesi in cui il prezzo di una pagnotta può far cadere regimi. Alcune di queste nazioni sono tra i principali importatori di grano ucraino e russo. L’Egitto tra il 2020 e il 2021 ha importato 2,5 milioni di tonnellate del cereale dall’Ucraina e 8,1 dalla Russia: l’85 per cento del suo fabbisogno nazionale. Nel dialetto locale, pane è “aish”: vita. Lo stato spende ogni anno un’alta parte del suo budget per mantenere i sussidi sul pane. Sono passati 45 anni, ma le rivolte che nel 1977 portarono in piazza decine di migliaia di egiziani, in protesta contro l’aumento dei prezzi del pane – 79 persone rimasero uccise – servono ancora di lezione ai rais del più popoloso paese arabo. E’ un fornaio in bicicletta, come se ne vedono molti al Cairo, le pagnotte stese su una rastrelliera appoggiata sulla testa, una delle immagini simbolo della rivolta del 2011: sfida un carro armato, in un murale sotto un ponte a pochi chilometri da piazza Tahrir. Sono tante le ragioni dei moti di quei mesi, dalla Tunisia alla Siria, eppure in pochi ricordano l’aumento considerevole dei prezzi del cibo nella seconda metà del 2010, quando un rapporto della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, parlava di “recente estrema volatilità dei prezzi sui mercati agricoli globali”. Non è un caso che il premier egiziano, Mostafa Madbouly, abbia convocato i ministri per una sessione di emergenza sulla guerra in Ucraina. L’Egitto aumenterà la produzione locale del 36 per cento per affrontare la possibile crisi.
Turchia, Egitto, Iran, Iraq, Siria, Libano, Libia, Tunisia e Algeria sono tutti paesi che dipendono dalle forniture di grano colpite dal conflitto in Europa: regimi e governi fragili, timorosi del malcontento sociale, minacciati dalle proteste di piazza e dalle crisi economiche. A Istanbul, dove il prezzo del pane è salito del 20 per cento a dicembre, il pane prodotto nei forni di proprietà della municipalità costa la metà di quello sul mercato: questo ha rafforzato la popolarità del sindaco Ekrem Imamoglu, unico credibile oppositore del presidente Recep Tayyip Erdogan, il cui consenso è minacciato dalla svalutazione della lira. L’esplosione al porto di Beirut nel 2020 ha distrutto gli unici silos della nazione – che comprava il 60 per cento del suo grano dall’Ucraina - e ora il Libano ha la capacità di immagazzinare scorte solo per un mese. Il paese, che sprofonda inesorabilmente nella crisi economica, cerca ora l’aiuto internazionale: 20 milioni di dollari per assicurarsi forniture.
Il costo del pane minacciava gli autocrati già nel 2014, quando la Russia aveva annesso la Crimea ed era iniziato il conflitto tra esercito di Kiev e forze filorusse nelle regioni dell’est dell’Ucraina. Allora però non c’era stata l’invasione di un paese sovrano e il medio oriente non soffriva per una delle peggiori siccità degli ultimi 50 anni. Iran, Iraq e Siria convivono da tempo con la mancanza d’acqua. Le proteste contro il regime di Teheran sono ormai cicliche nelle più remote province del paese: la siccità colpisce gli agricoltori, ma la mancanza d’acqua per la popolazione è legata anche alla negligenza delle élite al potere. L’Iran – dove le variazioni del prezzo del pane rischiano di accendere le piazze – dovrà nei prossimi mesi importare otto milioni di tonnellate di grano, scrive Reuters. Il piano era di comprarne parte dalla Russia.
L'editoriale dell'elefantino