“Baldoria, cosacco!”
Leggere Gogol' per capire il coraggio degli ucraini
In mezzo alle bombe ecco l’allegria, lo scherzo mistico, il racconto della veglia che è la vita, l’esorcismo stravagante e d’impulso del diavolo e del male. Una vena satirica dello scrittore ucraino aiuta a capire la resistenza di Kyiv, che è come una cotoletta che ti macchia appena infili la forchetta
"Ho appena finito di leggere le ‘Veglie alla fattoria presso Dikan’ka’. Mi hanno entusiasmato. Ecco un’autentica allegria, sincera, genuina, senza sdolcinatezze, senza affettazioni”. Così Aleksandr Puškin alla prima lettura della raccolta di racconti di Gogol’, allora giovane scrittore e ucraino purissimo. Era molto prima che l’Ottocento raggiungesse il confine della sua metà. Si è detto del coraggio degli ucraini di due secoli dopo, ieri mostrato da un travolgente Zelensky, il presidente venuto dal cabaret, in un discorso agli stupefatti deputati europei nell’austera Strasburgo. Ha ragione Ernesto Galli della Loggia, alle radici del coraggio, sentimento obliterato ormai nella vita pubblica occidentale, abituata all’alternanza di sobrietà edonismo e fanatismo, c’è l’identità come appartenenza e rispetto del lignaggio, dei costumi e della lingua ereditata, della nazione e della libertà. Ma nel caso ucraino ci sono anche l’allegria, lo scherzo mistico, il racconto della veglia che è la vita, l’esorcismo stravagante e d’impulso del diavolo e del male. Una merce rara, preziosa che non si esaurisce nemmeno in mezzo alla scomparsa delle scorte, alle bombe, ai missili, ai sabotaggi, ai tradimenti e ai coprifuoco di giorni tetri di assedio e minaccia imminente.
Nella disillusione abituale dell’esistenza i mezzi pesanti alla fine prevalgono, ma questo squarcio di bislacca, falòtica beffa alla prepotenza è quello che risponde alla molestia della prevaricazione trista con la “Canzone nuziale” cantata a Dikank’a: “Non temere, matuška, non temere, metti gli stivaletti rossi, calpesta i nemici sotto i piedi, che i tuoi tacchetti tintinnino, che i tuoi nemici tacciano!”. Bloccare anche solo per un giorno, un’ora, un minuto la geometrica potenza della macchina del terrore di stato che preme lenta e sicura con un coraggio che non è gesto, non è escogitazione retorica, è un modo di essere. In mezzo alle molotov confezionate nel parco con metodo fordista, a catena di montaggio nella neve, giovani spensierati affiancano donne e bambini e nonnine imbracciando goffamente fucili, e si dicono disposti a combattere e morire, loro che sanno onorare la vita, ridendo e dandosi di gomito come in una movida un po’ ebbra e sconclusionata. Ridere per la patria. Li abbiamo visti in quei video che tramortiscono i nostri occhi civilizzati e stanchi con la barbarica, eccitante sicurezza di sé del partigiano dilettante. Perché la resistenza degli ucraini è come “La Fiera di Sorocčincy”, il racconto di un apicoltore nel suo ingenuo stupore per la comparsa della casacca rossa del diavolo, con le sue astuzie notturne, i suoi travestimenti, in mezzo alla veglia in cui il popolo racconta se stesso con strafottenza ilare. E’ come la kievskaia, una cotoletta monstre che ti macchia appena infili la forchetta con un getto a sorpresa di burro caldo.
Di guerre anche urbane, invase da religione e ideologia, di carnefici e vittime della guerra ne abbiamo viste a derrate. Quanto sia lontano, con le sue atrocità e il suo procedere di lutto in lutto, il mondo mediterraneo e mediorientale, invaso dal fanatismo e dall’amore per la morte, dalla tremenda e amabile baldanza della mobilitazione nella Piccola Russia è impossibile dire. Il carico di sofferenza e di assurdo, di disumanità e tragedia, è lo stesso, ma le fonti del coraggio sono in quella speciale immaginazione del male che fu la vena satirica di Gogol’ (o di Bulgakov) e la sua epica ironica delle immortali anime morte, delle troike che volano, della ribellione al conformismo del consigliere di stato di primo grado in nome della favola e dell’amore. Si capisce che dicano: I russi ci conoscono meno di quanto noi conosciamo loro. Si capisce che proverbialmente ripetano: Senza rischi niente champagne. Sono l’insorgenza di una misura nuova del coraggio, questi drappelli armati in difesa di occidente e libertà. Così certo dovremmo reimparare la storia, il rispetto dei nostri morti, il senso di patria e di comunità, per non perdere il rispetto di noi stessi, come si dice. Ma più ancora dovremmo cercare il coraggio nel racconto, che quando sa farlo supera la storia, versa il realismo nell’illusione, la grinta nel riso inconsapevole, ed è precisamente lì che troveremo fra le lacrime della realtà questa estrema e ignota risorsa che è il coraggio degli ucraini. “Baldoria, cosacco!”.
L'editoriale dell'elefantino