L'intervista

Parla Marki-Zay: Neppure Orban ha potuto fermare i grandi gesti dell'Ue

Micol Flammini

Il rivale del premier ungherese ci dice che l'Europa ha risposto compatta alla minaccia russa e ci racconta quanto è difficile da conservatore sfidare il leader di Fidesz, che fa propaganda su tutto: anche sulla guerra

Il Parlamento europeo ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina, le crepe all’unità degli europei sono state poche davanti al discorso di Volodymyr Zelensky che chiedeva libertà, senza troppa invidia per quella europea, ma con la dignità di chi ha perso un diritto e lotta per riconquistarlo. In Ucraina i russi hanno ripreso ad avanzare, a sud hanno stretto Kherson, a est hanno bombardato la piazza al centro di Kharkiv intitolata proprio alla libertà. A Kyiv hanno centrato  l’antenna della televisione,  e distrutto anche  il memoriale per l’Olocausto di Babi Jar: quasi che gli errori fossero una nemesi alle bugie di Putin che dice di voler denazificare l’Ucraina e finisce per colpire il simbolo della sofferenza ebraica. Davanti a questa aggressione gli europei si sono uniti.  Lo stato più riottoso a questo riallineamento occidentale è stato l’Ungheria che continua a puntare i piedi su certe questioni – il premier Viktor Orbán non vuole che le armi destinate agli ucraini passino sul suo territorio – ma ha capito che non poteva superare una linea rossa.

 

Il 3 aprile a Budapest ci saranno le elezioni e la guerra ha sconvolto la campagna elettorale. Il rivale di Orbán è Péter Márki-Zay, un conservatore a capo di una coalizione molto composita. In un incontro con la stampa, al quale il Foglio ha partecipato, Márki-Zay ha detto che Orbán è stato molto bravo a fare propaganda anche sulla guerra accusando l’opposizione di voler mandare i soldati a combattere in Ucraina e presentando se stesso come il garante della pace. “La nostra campagna elettorale è molto difficile a causa delle bugie del partito del premier, Fidesz. Controlla la stampa e  ripropone anche  la propaganda russa”. Márki-Zay dice che contrariamente alla Polonia, l’Ungheria non ha nel sangue il ricordo del pericolo sovietico e quindi pensa che l’aggressività russa non sia qualcosa che la riguarda: “In parte la gente si sente tranquilla perché riconosce che Orbán e Putin hanno un rapporto privilegiato”. Orbán è andato a trovare Putin non per parlare di Ucraina ma di gas. Budapest ha incaricato la russa Rosatom di costruire nuove centrali nucleari, in Ungheria c’è la Banca centrale di investimento che si è rivelata essere un covo di spie russe e ora l’opposizione chiede a Orbán di  tagliare i suoi legami con il Cremlino. “Per me – dice Márki-Zay – è chiaro che Putin sta cercando di ricostruire lo spazio sovietico: si fa l’errore di tollerare i passi dei dittatori, se si aspetta diventa troppo tardi per fermarli”. Il leader dell’opposizione ungherese è convinto che l’Ue abbia mostrato una capacità di reazione straordinaria: “Sostengo un futuro ingresso dell’Ucraina nell’Ue. L’Europa sta facendo gesti grandi e neppure Orbán è riuscito a fermarli”.

 

Márki-Zay ammette che vincere è una missione ambiziosa: aveva pensato una campagna basata sulla corruzione, ora si ritrova a condividere le scelte di Orbán sulla guerra. Anche sui profughi ha subìto una metamorfosi e, dice Márki-Zay, ha fatto bene. Il leader dell’opposizione  dice di non avere una posizione contraria rispetto a quella di Orbán sui migranti: “Ha fatto bene a costruire il muro, i confini dell’Europa devono essere difesi”. “Quello che è da condannare “è la campagna d’odio  nei confronti dei migranti e che questa volta, con gli ucraini, ha evitato”. Il politico, sindaco della città di Hódmezovásárhely, dice che Orbán “si è approfittato della crisi dei migranti per costruire la sua immagine di angelo protettore della nazione, dell’occidente e della cristianità”. 

 

Márki-Zay è un ex elettore di Fidesz e rivendica di essere un conservatore. “Orbán dice che chi non vota Fidesz è di sinistra, io non sono di sinistra, sono un conservatore: ci sono politiche che condivido con Orbán come quella sui confini e sulla famiglia, ma io non perdono la corruzione e credo che il posto dell’Ungheria sia a ovest”. Le cose che sicuramente cambierebbe, se dovesse vincere le elezioni, sono i  rapporti con l’Ue, la corruzione, il budget andrebbe risistemato (e questo porterebbe a interrompere anche alcuni progetti come gli stadi di Orbán), il sistema elettorale, la democrazia e, infine,  la libertà dei media che ormai mette l’Ungheria pericolosamente vicina a paesi come la Russia che ieri ha censurato la radio Ekho Moskvy e l’emittente Dozhd: non potranno più parlare della guerra, che in Russia non esiste, si chiama “operazione militare”. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)