Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, durante un discorso alla nazione, in tenuta militare (Ansa) 

L'analisi

Zelensky in divisa e i leader in cravatta spiegati da Paolo Macry

Francesco Palmieri

“C’è stata una smaterializzazione dell’idea di conflitto in occidente”, dice lo storico. Ma l'invasione dell'Ucraina impone nuove riflessioni. I comandanti, i soldati, i morti: la guerra fatta di corpi è tornata in Europa

Un sorso amaro e postumo di Novecento si riversa dall’est sui sensi dell’Europa, disabituata al suono delle sirene antiaeree, al rumore dei cingolati e al puro terrore di una guerra vera che sventra corpi e palazzi. L’adrenalina di Volodymyr Zelensky in tenuta militare lo avvicina e lo distanzia dai leader occidentali che lo ascoltano in completo blu; distanzia e avvicina i palazzi di Kyiv colpiti dai missili russi agli algidi consessi dell’Europarlamento e delle Nazioni Unite. Laggiù in Ucraina, così vicina così distante, i fragori dell’artiglieria riconducono la leadership al corpo umano di un presidente non più per metafora “bersaglio numero uno”. Quassù a Roma (e a Bruxelles, Parigi, Londra) i bagliori delle esplosioni sono immagini rassomiglianti a videogiochi cui siamo assuefatti, ma i filmati che mostrano carcasse di blindati e carristi senza vita sono spesso preceduti dal warning per non urtare i più sensibili. Dentro una guerra presidenti e premier di questa generazione non sono mai stati con il corpo come sta Zelensky adesso. Qualcuno al più s’è ricordato la tragica fotografia di un altro capo di stato, lo sbigottito Salvador Allende nell’assalto alla Moneda, ma la memoria restituisce in bianco e nero quel ’73 di un lontanissimo Cile.

 

La guerra in Ucraina pone l’Europa di fronte a chi nella politica rischia il suo corpo in senso fisico, con un coinvolgimento esistenziale e una passione nazionale che vanno al di là dei calcoli di costi e benefici delle sanzioni economiche, su cui logicamente e fatalmente s’affaccendano a Bruxelles”, dice lo storico Paolo Macry, che nel suo ultimo libro “Storie di fuoco” ha passato in rassegna le vicende di chi gettò il proprio corpo nella mischia per ideale politico. Da Santorre di Santa Rosa, che va a sacrificarsi per la libertà dei greci, a George Orwell, che s’arruola nelle milizie antifranchiste in Spagna e si prende una pallottola nel collo; dal volontario Carlo Emilio Gadda, che finisce prigioniero degli austriaci sull’Isonzo, a Ludwig Wittgenstein prigioniero degli italiani, che riporterà a casa una medaglia d’argento e il “Tractatus logico-philosophicus” scritto a matita su fogli sciolti nello zaino. Oggi gli intellettuali sparano raffiche di tweet e post carichi d’anima, ma nessun corpo al momento risulta partito per l’Ucraina malgrado gli “Up Patriots to Arms”.

 

“C’è stata una smaterializzazione dell’idea di guerra in occidente”, osserva Macry, “per non parlare della politica: ci stiamo abituando a praticarla in maniera virtuale e pensiamo a sistemi di voto basati su un clic, senza neanche l’incombenza di portarsi con il corpo alle urne. La pandemia con i lockdown e lo smart working ha accentuato questa tendenza, sicché oggi l’invasione dell’Ucraina ci mostra in modo drammatico che una certa idea di politica come corpo, malgrado fosse nata in questa parte d’Europa con la Rivoluzione francese, sia migrata dall’altra, riproponendo l’antica spaccatura tra est e ovest riemersa dopo il crollo degli imperi nel primo Dopoguerra e durata fino alla fine della Cortina di ferro”.

 

Lo choc di una guerra convenzionale sul continente, la prima iperdocumentata dalle piattaforme sociali, e l’empatia dell’opinione pubblica verso i profughi ucraini hanno offeso alcuni osservatori, che tacciano l’atteggiamento di “razzismo”. “Ci sarebbe piaciuto constatare la stessa solidarietà per qualsiasi rifugiato”, ha detto il politologo francolibanese Ziad Majed alla France Press: “Certi commenti che parlano di ‘gente come noi’ danno a intendere che chi viene da Siria, Iraq, Afghanistan o Africa non lo sia”. La “disumanizzazione dei rifugiati dal medio oriente” non sorprende, perché sono percepiti lontani da un occidente sempre più incorporeo dove i foreign fighter non hanno le facce di Lord Byron o Santorre di Santa Rosa. “La cifra dell’opinione pubblica occidentale è molto virtuale e forse neanche è un elemento negativo, quanto piuttosto da capire. Dall’altro lato c’è Zelensky. C’è Putin che sembra più rifarsi a un piccolo Stalin, il quale porta come padre i corpi dei suoi figli alla vittoria dopo sanguinosi sacrifici, ma non so quanto l’opinione pubblica russa sia disposta a seguirlo in questa mitologia politica”, aggiunge Macry.

 

L’epoca delle “Tempeste d’acciaio” si riaffaccia come un incubo e le sue immagini già bastano, persino quelle da videogioco. L’orrore è nei dettagli: neanche la guerra si fa con un clic e l’Europa abituata a concepirla ormai come una specie di procedimento informatico si ritrova davanti la realtà dei morti di carne. Quella meticolosamente appuntata sulla Somme dal soldato Ernst Jünger: 5 marzo 1917, prime ore del mattino, bombe a mano contro due soldati inglesi di pattuglia. Il giovane tenente che rimase ucciso “era molto ben vestito”, il viso intelligente “nonostante la convulsione dell’agonia”. Jünger gli trovò nell’agendina “un numero enorme di indirizzi di donne a Londra: questo particolare mi commosse”. Lo seppellì piantando una croce su cui fece scrivere il nome coi chiodi da scarpe. Zelensky con la maglietta militare evoca tutto questo agli uomini in giacca e cravatta che non hanno mai fatto una guerra.