Il presidente russo Vladimir Putin e quello cubano Miguel Díaz-Canel (Ansa)

Dopo il voto Onu

Cosa ne è delle sfere d'influenza della Russia se Cuba non ne fa più parte

Maurizio Stefanini

La risoluzione delle Nazione unite ha svelato quanto il credito russo tra gli stati latino-americani sia messo a dura prova dalla guerra. Molti paesi inizialmente favorevoli a Putin hanno seguito la Cina, astenendosi: una scelta che potrebbe rappresentare un primo eloquente segnale di riposizionamento

Assieme alla Russia, contro la risoluzione ES 11/1 con cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha condannato l’attacco all’Ucraina hanno votato Bielorussia, Corea del nord, Siria ed Eritrea, ma non Cuba e Nicaragua, che si sono astenute. Non figurava tra i no neanche il Venezuela, ma in quanto escluso dal voto per morosità. Erano questi tre i governi latino-americani che avevano espressamente approvato l’offensiva di Vladimir Putin. La stampa ufficiale cubana l’aveva definita una “operazione militare speciale” in difesa del Donbas, mentre poche ore prima dell’attacco il presidente Díaz-Canel riceveva il presidente della Duma Viacheslav Volodin. Subito dopo Volodin è stato ricevuto e omaggiato in Nicaragua, che tre giorni prima aveva aggiunto il riconoscimento di Donetsk e Luhansk a quelli di Abkhazia e Ossezia del sud (dopo il conflitto in Georgia); alla fine del 2020 aveva pure stabilito un consolato in Crimea.

Anche il Venezuela riconosce Abkhzia e Ossezia del sud oltre a ospitare almeno due basi russe, e Nicolás Maduro dopo aver parlato con Putin per manifestargli il suo appoggio contro le sanzioni ha ringraziato “Dio e la Madonna che il Venezuela non sta nel sistema Swift”. Secondo lui, in questo momento “sta venendo commesso un crimine contro il popolo russo”.  

 

Tuttavia, e un po’ a sorpresa, sia Cuba sia il Nicaragua hanno evitato di arrivare al punto di opporsi alla condanna russa. Da Cuba sono arrivate anzi preoccupazioni per i civili ucraini e auspici per una ripresa del dialogo, anche se l’annuncio della astensione è stato dato dalla stampa di regime condito con accuse alla “ipocrisia americana”. Molte posizioni in America latina sono un po’ a sorpresa, visto che per esempio Argentina e Brasile hanno votato la condanna all’Onu dopo che invece si erano astenute su una condanna all’Organizzazione degli stati americani. Il presidente argentino Fernández è di sinistra, quello brasiliano Bolsnaro di destra, ma tutti due erano stati di recente da Putin: il primo offrendo pure il suo paese come “ponte per la presenza russa in America latina”; il secondo con il suo solito stile ha fatto battute su “Zelensky commediante” e sul fatto che definire quanto sta accadendo un massacro sarebbe “esagerato”, e si è scontrato con la linea pro Ucraina del vicepresidente. Ma tutto il quadro politico si è sollevato senza distinzione tra maggioranze e opposizioni, e all’Onu c’è stato appunto un voto di condanna. 

 

L’astensione all’Osa è stata invece confermata all’Onu dalla Bolivia: anche lì con proteste della opposizione. Al contrario, dopo che il rappresentante dell’Uruguay all’Osa aveva pure deciso di astenersi, il presidente uruguayano Lacalle Pou è intervenuto furibondo, e lo ha obbligato a unirsi alla condanna. Pur tenendo conto dello storico disagio di una regione molto centrata su se stessa per rapportarsi a eventi “esterni”, la scelta di Cuba forse va oltre, specie se si considera il modo in cui il precedente della crisi dei missili del 1962 è stato citato. In senso stretto c’entra poco, dal momento che la scelta di mettere le testate, il relativo blocco e poi il ritiro in cambio dello smantellamento delle basi in Turchia rappresenta comunque una partita a scacchi relativamente controllata da tempi di Guerra fredda, rispetto a questa esplosione di violenza che riporta invece a logiche di epoche pre atomiche. Però, appunto, Cuba alla fine del 1962 dovette acconsentire alla ritirata di Kruscev, e anche dopo il 1992 Fidel Castro si ritrovò abbandonato all’improvviso dall’aiuto sovietico. 

 

Sicuramente il ritorno putiniano è stato visto all’Avana con favore, anche perché ha risvegliato nostalgie vintage. Ma quelli che hanno i soldi davvero sono i cinesi: nel 2021, in piena pandemia e con una economia mondiale debilitata, il valore totale del loro commercio con l’America latina ha raggiunto un record da 450 miliardi di dollari. E i cinesi, poi, non hanno precedenti di ritirate precipitose. Il fatto che Díaz-Canel e Ortega abbiano preferito unirsi alla loro astensione potrebbe rappresentare un primo eloquente segnale di riposizionamento.  
 

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