Bye bye Putin
Da Airbnb a Ikea fino alle auto e al petrolio. Continua la fuga da Mosca
Dopo Apple, Nike, Volskwagen e British petroleum, oggi anche il colosso degli affitti ha annunciato la sospensione della attività in Russia e Bielorussia. Da giorni sono sempre di più le società, in tutti i settori, che provano a fare pressione sul Cremlino smobilitando gli investimenti
Dalla musica alla telefonia, fino alle auto. E adesso pure gli alloggi. La fuga (economica) da Mosca continua. Questa mattina anche Airbnb ha annunciato la sospensione delle attività in Russia e Bielorussia. È stato il ceo Brian Chesky, con un tweet, a spiegare la posizione dell'azienda statunitense, che gestisce una delle piattaforme per la ricerca di alloggi e affitti a breve termine più importanti del mondo.
Nei giorni scorsi Airbnb si era già mostrata molto sensibile alla questione ucraina, mettendo a disposizione di chi scappa dalla guerra fino a 100 mila posti letto e lanciando una campagna per raccogliere risorse ulteriori e dunque accrescere le possibilità di accoglienza. "Abbiamo bisogno di aiuto per raggiungere questo obiettivo. Il più grande bisogno che abbiamo è che più persone possano offrire la loro casa nei paesi vicini, tra cui Polonia, Germania, Ungheria e Romania”, è stato l'appello dell'azienda.
Uno slancio umanitario a cui nella notte, appunto, è stata affiancata la decisione più drastica di bloccare le attività nel paese di Putin. È l'ennesimo gesto di condanna per l'invasione di uno stato sovrano. Così cresce l'isolamento russo, sommandosi agli altri provvedimenti internazionali. Tant'è che anche Lukoil, uno dei più grandi colossi russi del petrolio, ha ufficialmente chiesto, due giorni fa, "una rapida fine del conflitto e la sua risoluzione attraverso un processo di negoziazione e mezzi diplomatici". Non proprio quello che Putin continua a ripetere in queste ora, ma un segnale significativo dei timori degli oligarchi. D'altra parte le sanzioni continuano a produrre i loro effetti e presto protrebbero arrivarne di nuove e più pesanti.
Ed è in questo contesto che sempre più aziende da tutto il mondo, e nei settori più diversi, hanno deciso di boicottare in qualche modo la Russia, sospendendo le vendite, i servizi o la produzione. Ieri anche Ikea si è schierata, chiudendo diciassette magazzini e tre siti produttivi. E scatenando (come si vede nel video di seguito) la corsa agli scaffali da parte dei cittadini. E poco prima un altro gruppo svedese come H&M aveva fatto un annuncio analogo. Sempre dalla scandinavia, questa volta siamo in Danimarca, Lego ha deciso di fermare le consegne in Russia.
Una mobilitazione che col passare dei giorni continua a estendersi e in cui anche i settori della tecnologia, della moda e dell'intrattenimento provano a fare la loro parte.
Spotify ha chiuso i suoi uffici a Mosca e sospeso i servizi legati alla Russia; HNetflix ha invece bloccato i progetti in cantiere così come l'acquisizione di produzioni russe mentre altri colossi come Sony, Warner Bros e Disney hanno stoppato i film in uscita. Siemens fa altrettanto con i proprio servizi seguendo l'esempio di Apple che aveva chiuso tutte le vendite nel paese. La stessa mossa operata da Nike, anche per quanto riguarda i canali online.
A fianco del popolo ucraino anche grandi imprese del settore automobile: "A causa della guerra condotta dalla Russia, il gruppo ha deciso di fermare la produzione di veicoli in Russia. Anche le esportazioni verranno stoppate", si legge in una nota pubblicata da Volkswagen. Sulla stessa linea anche Volvo e Ford. La casa giapponese Toyota ferma lo stabilimento a San Pietroburgo. Bmw l'impianto di Kalinigrad e le forniture verso la Russia.
E presto anche Stellantis potrebbe accodarsi, come ha fatto già Generali chiudendo l'ufficio di rappresentanza nella capitale russa. E nei prossimi giorni Mosca dovrà fare i conti anche con le defezioni che arrivano dal settore energetico. Eni aveva già annunciato nei giorni scorsi di voler tagliare i ponti con Gazprom, in particolare per il gasdotto Blue Stream (che collega Turchia e Russia). Shell si muove nella stessa direzione per quanto riguarda un altro gasdotto, il Nord Stream 2 (le cui autorizzazione sono state intanto sospese dal governo tedesco). Una serie di fughe inaugurate domenica scorsa da British Petroleum, l'azienda britannica che per prima ha optato per il disimpegno, facendo in qualche misura da apripista. La compagnia possiede quote per il 20 per cento in Rosnef, principale azienda petrolifica di stato russa. Le quote britanniche saranno cedute, anche a fronte di perdite stimate per circa 25 miliardi. Così, insomma, anche il "mercato" prova a destabilizzare e a far pressione sul Cremlino, cercando di aprire una breccia nell'arroccamento di Putin, che intanto pensa alle contromosse. Sarebbe allo studio infatti un decreto per bloccare l'emorragia di capitali stranieri in uscita.