No, l'Ucraina non è Cuba
I missili sovietici al largo della Florida valsero la prova di forza, la guerra a Kyiv no: ecco la differenza
Ieri il segretario generale della Nato ha chiesto a Putin di fermare la guerra e ritirarsi senza condizioni per aprire un negoziato, escludendo un impegno diretto dell’alleanza difensiva in qualsiasi forma. In realtà Putin sta conducendo la sua campagna distruttiva senza condizioni, nel senso che gli vengono opposte misure di deterrenza, quando non c’è più niente da scongiurare in termini di dissuasione dall’attacco, e punitive, ma solo sotto il profilo dell’isolamento economico e diplomatico internazionale. C’è qui un’asimmetria palese: un potere deciso a esercitare la forza, senza eccessivi scrupoli e con il retroterra della minaccia nucleare, incontra una resistenza ammirevole del suo nemico immediato e infinitamente più debole, il popolo e l’esercito ucraino, ma non deve fare i conti con la minaccia di una forza contraria, perché la Nato sente la responsabilità di impedire una estensione della guerra, in cui non è impegnata, al di là dei confini del paese indipendente aggredito.
Nel corso della crisi dei missili a Cuba, l’Amministrazione americana decise e realizzò il blocco navale dell’isola, in seguito al quale il potere sovietico si rassegnò allo smantellamento delle basi missilistiche, e infine il suo campione fu cacciato dal Cremlino sotto l’imputazione di avere perduto la partita. Il mondo visse un febbrile allarme nucleare, ma la risposta simmetrica sul piano della forza portò al ristabilimento della pace o di un equilibrio. Credo si debba osservare, con timore e tremore, che la guerra finanziaria mai prima sperimentata in queste forme, l’unità politica dell’occidente, una retorica forte in favore della libertà di un popolo invaso e in via di occupazione, l’aiuto indiretto alla resistenza in termini di armi e finanziamenti, perfino gesti strategici nel teatro europeo come la nuova linea della Germania, tutto questo non genera la medesima simmetria della forza che sperimentammo nel caso del blocco navale di Cuba. E l’isola caraibica allora non era teoricamente minacciata dall’allargamento Nato, come si dice con un escamotage propagandistico che ha origine nel discorso di potenza del Cremlino, era stata invasa nella Baia dei porci con la complicità americana. Missili sovietici al largo della Florida valsero la prova di forza, la guerra in Ucraina no: questa è la differenza.
L’Ucraina confina con l’Europa e se ne sente parte, ma non è nel cortile di casa dell’occidente come Cuba. L’espansionismo russo, dopo la Georgia, dopo la Crimea, dopo la Siria e l’Africa, è considerato, malgrado tutto quel che si dice e si fa per contrastarlo, anche mettendo a rischio il ciclo globale dell’economia, anche fornendo sostegno a chi è nella prima linea, come un fattore ancora regionale, non un incubo esistenziale se non per gli ucraini sotto progressiva occupazione. La loro sorte potrebbe alla fine non essere molto diversa, malgrado le evidenti differenze storiche, di quella dell’Ungheria e della Cecoslovacchia nel 1956 e nel 1968. E’ difficile parlare di questo aspetto della questione, perché il tabù della de-escalation, il dovere di favorire la diplomazia sulle armi, la necessità responsabile di evitare un corso ancora più devastante delle cose, tutto questo è sacrosanto. Il problema allo stato, anche in virtù dello spericolato dire e agire del potere russo sul crinale della minaccia nucleare, appare irrisolvibile. Ma nondimeno esiste, ignorarlo è impossibile. Tra poco potremmo essere costretti a vivere un nuovo “momento Monaco”, dal nome della città in cui Francia e Inghilterra, dopo l’Anschluss che ingoiò l’Austria, decisero di lasciare che il Terzo Reich occupasse anche i Sudeti, con le conseguenze indirette che si conoscono e che non furono un’èra di “pace per il nostro tempo”, come promesso da Neville Chamberlain. Si tratta com’è ovvio di un paragone ellittico, che non ha vigore di argomento propriamente storico. Tutto ciò che è analogo si manifesta nel differente, e così Putin non è Hitler, il suo espansionismo procede ancora per via indiretta rispetto al corpaccione dell’occidente e della Nato, la Crimea non è l’Austria, Kyiv non è la capitale del Sudetenland, e oggi anche la politica di potenza avanza per vie diverse. Tuttavia mi domando che cosa farei se un Boris Johnson, per esempio, chiedesse che la Nato pattugli i cieli ucraini esponendosi al rischio dell’escalation per impedire che l’invasione produca conseguenze di destabilizzazione già avvertibili sulla sicurezza europea, per scongiurare la presa di Kyiv e la cacciata o l’assassinio di Zelensky, con la fine della storiaccia e la vittoria di Putin: gli darei del pazzo o lo approverei?