Russi discriminati? Una hotline serve più a Mosca che a Roma
L’Ambasciata in Italia chiede di segnalare minacce e aggressioni dovute a una presunta russofobia. Intanto il Cremlino reprime il dissenso
L’Ambasciata russa in Italia ha attivato una “hotline per i cittadini della Federazione Russa vittime di discriminazione” sul territorio italiano. “Cari connazionali! – dice il comunicato dell’Ambasciata – in connessione con l’aggravarsi della situazione internazionale e la campagna di informazione antirussa lanciata sui media, il numero di casi di discriminazione nei confronti di cittadini russi all’estero è notevolmente aumentato. Per la risposta più tempestiva ed efficace a tali incidenti, l’Ambasciata Russa in Italia sta lanciando una hotline”. Segue poi un form da compilare indicando casi di minacce, insulti, molestie, aggressioni o violenze fisiche subite.
Al momento, a parte qualche sparuto caso, non pare ci sia in Italia una “russofobia” dilagante tale da sfociare in atti di violenza nei confronti di cittadini russi, anche perché gli italiani sono in larghissima maggioranza capaci di distinguere le responsabilità del Cremlino da quelle della popolazione russa. In ogni caso si tratta di un rischio da cui nessuno è esente, soprattutto durante una guerra di aggressione dove i toni sono esasperati. In questo senso, è da accogliere la preoccupazione dell’Ambasciata russa sulla possibile violazione dei diritti e delle libertà dei cittadini della Federazione russa come effetto collaterale dell’invasione dell’Ucraina voluta da Vladimir Putin. E a ben vedere, c’è un posto in cui i diritti dei russi sono quotidianamente vittime di discriminazioni sempre più pesanti. Quel posto non è l’Italia, ma la Russia.
Ieri, proprio mentre l’Ambasciata di Mosca a Roma twittava l’attivazione della “hotline” anti discriminazione, a Mosca centinaia di manifestanti venivano arrestati dalle forze dell’ordine solo perché protestavano contro la guerra in Ucraina. Solo nella giornata di ieri sono state oltre duemila le persone fermate durante le manifestazioni tenute in 44 città, i dimostranti arrestati in Russia dall’inizio dell’invasione ora sono oltre 10 mila. Insieme al diritto di manifestare, ai russi è stato tolto anche il diritto d’informazione. Non solo perché il Cremlino ha bloccato l’accesso nel paese a Facebook e Twitter (proprio i social network da cui comunica l’Ambasciata russa con i russi, ma solo fuori dalla Russia), ma anche perché la Duma ha approvato all’unanimità una legge che punisce con 15 anni di carcere chi diffonde “false informazioni” sulle operazioni militari, una norma che rende impossibile la libera informazione e il giornalismo indipendente.
Tutti i principali media internazionali – dalla Bbc alla Cnn passando per la Rai – hanno ritirato i propri giornalisti da Mosca o interrotto i servizi e le trasmissioni dal paese. Una scelta analoga, limitatamente alla copertura della guerra, l’hanno dovuta prendere anche i giornali russi come per esempio La Novaya Gazeta, il quotidiano diretto dal premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, che ha deciso di rimuovere dal suo sito tutti i contenuti che riguardano la guerra in Ucraina a causa della “censura”. In Italia, invece, nonostante sia un paese il cui governo si è schierato contro la guerra di Putin, non è a rischio il pluralismo informativo: guardando la tv o leggendo i giornali, i cittadini russi trovano ampiamente rappresentata il punto di vista di Putin su ciò che sta accadendo in Ucraina, anche quando la versione è palesemente falsa. La televisione di stato italiana, almeno finché era possibile trasmettere da Mosca, con i suoi corrispondenti riportava fedelmente la versione del Cremlino. Nei talk-show i personaggi che, a dispetto dell’evidenza, addossano la responsabilità di questo conflitto alla Nato e all’Ue hanno una grandissima esposizione. D’altronde, la stessa Ambasciata russa quando voleva indicare un’analisi delle ragioni del conflitto in linea con la visione del governo russo ha indicato un articolo di una giornalista italiana su un giornale italiano (Barbara Spinelli sul Fatto quotidiano). I cittadini russi sono liberi di manifestare in Italia e hanno diritto a un’informazione pluralista e libera dalla minaccia del carcere per i giornalisti, inoltre qualora volessero impegnarsi in politica in dissenso con la politica estera del governo non rischierebbero di finire ammazzati per strada come Boris Nemtsov o avvelenati con il novichok nelle mutande e poi sbattuti in carcere come Alexei Navalny.
Insomma, se l’Ambasciata russa intende davvero raccogliere e denunciare le pesanti discriminazioni che ogni giorno subiscono i cittadini della Federazione russa, la “hotline” non dovrebbe aprirla a Roma bensì a Mosca. L’unico problema è che non le basterebbe il personale per lavorare tutte le segnalazioni di discriminazioni e violazioni dei diritti fondamentali.