Come funziona il boicottaggio contro la Russia delle aziende occidentali
Nessuno li obbliga, dato che le sanzioni Swift possono essere aggirate con altre banche. Il reclutamento è volontario ma sono tantissimi i grandi marchi che hanno abbandonato Mosca
Bruxelles. La coalizione occidentale che sostiene l’Ucraina di Volodymy Zelensky ha trovato un alleato inatteso nella sua battaglia per mettere in ginocchio l’economia russa in risposta alla guerra di Vladimir Putin: le multinazionali del settore privato. Heineken, il secondo produttore al mondo di birra, ieri si è aggiunto alla lunga lista di società private che ha deciso di fermare la produzione, la pubblicizzazione e la vendita dei suoi prodotti in Russia. “Siamo scioccati e rattristati nel vedere la tragedia in corso in Ucraina”, ha detto l’amministratore delegato di Heineken, Dolf van den Brink, in un comunicato, spiegando che la scelta è stata fatta “in risposta alla continua escalation della guerra” da parte della Russia. A Mosca si sono formate lunghe code davanti ai McDonald’s, dopo l’annuncio di mercoledì del colosso del fast food di chiusura dei suoi 847 ristoranti nel paese. “I nostri valori significano che non possiamo ignorare l’inutile sofferenza umana che si sta verificando in Ucraina”, ha detto Chris Kempckinski, l’amministratore delegato di McDonald’s, diventato simbolo della fine della Guerra fredda quando il 31 gennaio del 1990 aprì il suo primo fast food a piazza Pushkin a Mosca, con 30 mila persone in fila per il loro primo Big Mac. Mercoledì Universal Music ha sospeso a tempo indeterminato e con effetto immediato tutte le operazioni. Secondo il Wall Street Journal, Sony Music Group e Warner Music Group faranno la stessa cosa. Spotify ha deciso di limitare la sua attività. Dopo aver annunciato lo stop di progetti e acquisizioni future, lunedì Netflix ha sospeso il suo servizio in Russia. Warner Bros, Disney e Sony hanno fermato l’uscita di nuovi film.
Che sia per ragioni politiche, morali, di immagine o commerciali, o semplicemente per la pressione dei governi occidentali, l’uscita delle multinazionali dalla Russia sta portando a una nuova cortina di ferro economica. I colossi dell’energia se ne stanno andando. Shell e Bp sono stati i primi ad annunciare la vendita delle loro attività con Gazprom e Yukos. Mercoledì Shell ha deciso anche di smettere di comprare gas e petrolio dalla Russia (e di chiudere le stazioni di servizio) in linea “con le nuove linee guida del governo” del Regno Unito. Toyota ha chiuso un impianto di produzione a San Pietroburgo. Honda ha interrotto le esportazioni. Volkswagen ha messo in pausa esportazioni e produzione. Ferrari non produrrà più per la Russia. Chiusure sono state annunciate da Starbucks, Coca Cola e General Electric. I giganti francesi del lusso (Lvmh, Kering, Chanel, Hermès) hanno usato la settimana della moda a Parigi per lanciare il boicottaggio di Putin. Nike, Puma, Adidas, Zara e H&M hanno già sospeso le vendite.
Sul New York Times, Thomas Friedman ha spiegato che la mobilitazione del settore privato è una delle innovazioni di questa guerra: “Individui, aziende e gruppi di attivisti sociali dotati di superpoteri possono lanciare sanzioni e boicottaggi da soli, senza alcun ordine di un governo”. Nessuno li obbliga, dato che le sanzioni Swift possono essere aggirate con altre banche. Il reclutamento è volontario: questa volta non ci sono nemmeno le sanzioni secondarie degli Stati Uniti che, con i loro effetti extraterritoriali, avevano costretto alcuni grandi gruppi europei ad abbandonare l’Iran. Oggi in Russia, se una società decide di andarsene, il concorrente non può pensare di fare altrettanto, salvo rischiare una rivolta degli azionisti o dei clienti. In pochi si permetteranno il lusso di McDonald’s, che ha promesso di continuare a pagare i suoi dipendenti russi. A subirne le conseguenze saranno i consumatori senza più prodotti e servizi occidentali, i lavoratori licenziati e le catene di approvvigionamento della Russia. L’inattesa armata del settore privato, che si somma alle sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione europea, completa l’isolamento economico che Putin ha scelto con la sua guerra.