Il prezzo delle sanzioni
C'è una tentazione autarchica nei regimi, ma parlare di deglobalizzazione è prematuro
La Russia, la Cina e le altre. L'interdipendenza fra campo reale, finanziario e commerciale, fra le autocrazie e le democrazie, rende molto difficile la rinascita dei blocchi contrapposti dei decenni scorsi
Le sanzioni sono state la risposta immediata all’aggressione russa dell’Ucraina. Si hanno quelle che mettono in difficoltà la popolazione, come i vincoli imposti al funzionamento del settore finanziario e quindi dell’economia tutta con il blocco dello scambio di informazioni (lo Swift), come il congelamento delle riserve della Banca centrale depositati all’estero, che blocca l’uso delle valute, tranne di quelle che provengono dalla vendita delle materie prime, e come il blocco dell’esportazione di tecnologie. Si hanno poi quelle che mettono in difficoltà l’élite, come il congelamento dei suoi beni stipati all’estero. Quali sanzioni potranno, se il caso, essere utilizzate contro le altre autocrazie, e come queste ultime pensano di reagire per diventare fin da subito poco o meno vulnerabili? Quando si dibatte di questo argomento si pensa alla Cina.
Partiamo dai numeri. Il commercio estero cinese si distribuisce in parti eguali fra l’Asean – l’associazione del paesi del sud est asiatico, l’Europa, e gli Stati Uniti. Il resto del commercio cinese di una certa rilevanza è verso il Giappone e la Corea. L’esposizione verso l’occidente e i suoi alleati è quindi pari a due terzi del commercio estero cinese. Possibile che nel tempo cresca la quota di commercio extra occidentale, ma ciò richiederà molto tempo. Le riserve della Banca centrale cinese, che sono e di gran lunga le maggiori al mondo, sono, invece, per quattro quinti in dollari ed euro. Se si aggiungono le riserve in yen, franchi svizzeri, e sterline, si arriva quasi alla totalità delle riserve cinesi in valuta. Possibile che nel tempo cresca la quota investita in altre valute, ma ciò richiederà, messo che sia mai possibile, molto tempo.
Perché messo che sia possibile? Le riserve della sua Banca centrale, investite in occidente in titoli del Tesoro sono il controvalore di quanto la Cina ha accumulato nel corso del tempo, soprattutto verso l’occidente, attraverso i suoi surplus commerciali. Queste riserve sono investite nei mercati finanziari che sono trasparenti ma soprattutto liquidi. Vale a dire in mercati in grado di assorbire delle enormi quantità di investimenti in entrata e in grado di assorbire delle enormi quantità di titoli in vendita. Il tutto senza generare cataclismi. E questi mercati finanziari sono solo quelli occidentali.
Si vede bene una asimmetria di influenza. Mentre l’economia reale dei paesi occidentali è squilibrata ma non troppo verso la Cina, l’economia finanziaria dei paesi occidentali è in posizione preminente di fronte di quella cinese. Questo squilibrio lo si è visto in azione nella vicenda dell’Ucraina. La Russia esporta materie prime e semilavorati e ha le riserve della Banca centrale in occidente, così come una parte cospicua della ricchezza della sua élite. Nel caso cinese, e a differenza di quello russo, le esportazioni non sono di materie prime ma di beni industriali anche sofisticati, con lo squilibrio in campo finanziario che resta enorme. Nel caso cinese non si ha una parte cospicua della ricchezza della sua élite stipata all'estero, ma si lì si hanno le riserve delle sua Banca centrale.
La vicenda delle sanzioni all’Ucraina può avere agito da campanello d’allarme agli occhi dei dirigenti cinesi nel caso volessero tentare l’occupazione di Taiwan. Questa interdipendenza in parte equilibrata in parte molto squilibrata, fra campo reale e finanziario, fra le autocrazie e le democrazie, rende molto difficile la rinascita dei blocchi contrapposti dei decenni scorsi. Il campo socialista era allora composto, tralasciando il Vietnam, la Corea del nord, e Cuba, dall’Urss, dai paesi del patto di Varsavia, dalla Cina. Al posto dell’Urss oggi c’è la Russia, che sta pagando l’isolamento seguito all’aggressione dell’Ucraina, i paesi occidentali del patto di Varsavia sono nell’Unione europea, e la Cina non è più, grazie all’apertura al commercio mondiale, un paese chiuso, povero, e agricolo. Insomma, dare per finita la globalizzazione è prematuro.