I Baltici e gli scandinavi rilanciano i valori occidentali in un nuovo ordine globale
Lavrov ha detto che la Russia non ha ambizioni oltre i confini dell’Ucraina, ma avendo negato pure l’offensiva in Ucraina, gli altri paesi limitrofi hanno ricominciato a tremare. A est, a sud, soprattutto a nord, dove si è creato un baricentro di difesa nuovo, solido, battagliero
Le mediazioni sono fallite, quella turca forse nel modo peggiore, visto che il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha potuto ribadire la sua menzogna: “Non abbiamo attaccato l’Ucraina”, e ha anche potuto definire “patetico” il cordoglio internazionale per l’attacco ai civili ucraini da parte dell’esercito russo a Mariupol. E’ arrivato poi Gerhard Schröder a Mosca: l’ex cancelliere tedesco lavora per Gazprom, quindi per il Cremlino, è partito senza avvisare nessuno del governo di Berlino, che pure è guidato da un esponente del suo partito, l’Spd, e forse è andato da solo perché i suoi collaboratori si sono dimessi tutti la scorsa settimana, dopo l’invasione russa in Ucraina. Quale genere di mediazione possa impostare un dipendente di Vladimir Putin con il proprio capo è difficile da stabilire, o forse al contrario è chiarissimo: nessuna. La Russia continua a propinarci la sua versione dei fatti, nessuno in Russia può dire “guerra” sennò finisce in galera, i soldati caduti non possono né essere nominati né essere sepolti, perché se la guerra non esiste non esistono nemmeno le persone che la combattono. Figurarsi se possono esistere le vittime, poi.
Esiste chi si difende, invece. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky fa i nomi e i cognomi dei caduti, non vuole che siano numeri, sono singole persone, singole vite che scompaiono, travolte da una guerra pretestuosa. Kamala Harris, vicepresidente americana, arrivata in Europa per rassicurare gli alleati nel primo viaggio che ha, questo sì, un’eco bideniana forte, dice che un’inchiesta per i crimini di guerra di Putin “dovrebbe assolutamente esserci”. La ascoltano attenti i paesi ai confini dell’Ucraina: Lavrov ha detto che la Russia non ha ambizioni oltre i confini dell’Ucraina, ma avendo negato pure l’offensiva in Ucraina, gli altri paesi limitrofi hanno ricominciato a tremare. A est, a sud, soprattutto a nord, dove si è creato un baricentro di difesa nuovo, solido, battagliero. “Se guardiamo agli ultimi ottocento, novecento anni di storia, possiamo dire che non siamo mai stati così sicuri”, ha detto in modo controintuitivo il premier lettone, Krisjanis Karins, al Financial Times, “abbiamo tanti alleati potenti, siamo paesi indipendenti con i nostri eserciti ben addestrati, e siamo in un mercato libero e prospero e aperto agli investimenti”.
Richard Milne, che si occupa di questo nord europeo da tempo per il Financial Times, dice che i Baltici potrebbero essere “la Berlino ovest di questa generazione”. Nei discorsi dei leader dei Paesi baltici e della Scandinavia risuona forte una doppia convinzione: la pace ha un prezzo, e i governi occidentali devono metterlo in chiaro senza infingimenti, ma prosperità e benessere, la famosa ricerca della felicità che gli americani hanno in Costituzione, avranno il sopravvento. Alexander Stubb, ex primo ministro finlandese, ha fatto un’analisi su Twitter molto lucida: la linea tra guerra e pace è netta e negli ultimi quattordici anni è stata varcata tre volte sempre dalla Russia, in Georgia nel 2008, in Crimea nel 2014 e in Ucraina oggi. In ragione di questo, si sta creando un nuovo ordine globale, con nuove alleanze e, dice Stubb, dovremo organizzare nuove istituzioni adatte a questo nuovo mondo. Ma “tecnologia, economia e cambiamento climatico guideranno comunque il cambiamento. Non ci si può tagliare fuori. Un potere isolato non ha potere”