sanare l'asimmetria
Nella guerra in Ucraina bisogna essere pronti a fare (quasi) tutto
È il momento di sostenere la trattativa non solo con la promessa della neutralità, ma con un sostegno dissuasivo ai limiti dell’interferenza diretta
Si può fare finta di niente, ma quella di Putin è una guerra convenzionale protetta dalla deterrenza nucleare. Non importa quanto siano credibili le sue minacce sulle conseguenze “inimmaginabili” di una reazione belligerante dell’occidente, importa che siano state pronunciate con spavalderia. In quella deterrenza si fonda l’asimmetria degli avvenimenti e delle prospettive. L’invasione parte da quel momento.
La deterrenza occidentale fondata sulle sanzioni non ha funzionato nonostante l’efficacia allo stato presente della guerra finanziaria, un aculeo nella pancia russa che ovviamente può rivelarsi entro certi limiti reversibile, energia inflazione e recessione sono lì a dimostrarlo. E nonostante la esitante e pasticciata decisione di armare nei limiti del possibile la resistenza, vietandosi per adesso la battaglia di controllo del cielo.
Putin, un Putin dissuaso a invadere, avrebbe potuto tenere l’Ucraina sotto minaccia, ledere i suoi interessi in mille modi, assediarla sui tre fronti da cui è invece poi partita l’invasione, indurre una sua minorità strategica per trattare da posizioni di forza. Aveva cominciato così, con l’impresa di Crimea e con la presa a metà del Donbas, in parte delegati a truppe mascherate e contractor. Il salto nel buio del rullo compressore portato in territorio ucraino, con il corteggio della dichiarazione di egemonia imperiale neorussa e delle bandiere sovietiche sui carri armati, dei bombardamenti e dell’occupazione territoriale con una potente armata di terra nasce solo dalla mancata deterrenza.
Cuba era stata invasa con l’assistenza americana all’impresa sciagurata della Baia dei Porci. Non era, quella che i sovietici dicevano di voler scongiurare con le loro basi a 90 miglia dalla Florida, una minaccia alla loro sicurezza paragonabile all’attivismo della Nato a est dopo la fine della Guerra fredda. Era molto di più. E i loro missili, per così dire, invasero la postazione caraibica dei barbudos.
Come il blocco navale dell’isola, a deterrenza, deciso dagli americani malgrado tutto, portò a un ristabilimento dell’equilibrio fondato sul ritiro dei missili balistici da parte di Kruscev, sulla promessa implicita di ritiro delle basi turche da parte di Kennedy, così l’assedio dell’Ucraina avrebbe potuto essere lo strumento per la conquista della sua neutralità, un modo per abbattere il rischio rappresentato dal governo di Kyiv europeista e potenzialmente atlantico nel vero e nel falso delle paure autentiche e indotte del potere russo. Ma una storia cominciata come impossibile conquista territoriale è arrivata a diventare storia di un’invasione armata. E ora tutto il fuoco della trattativa necessaria si concentra sul tentativo putiniano di ottenere con l’assedio di Kyiv e la semidistruzione di un pezzo del paese, fra combattimenti e lutti macabri e tragedie umanitarie, quello che forse si poteva negoziare senza subire le sanzioni dissuasive e punitive, senza sconvolgere l’equilibrio mondiale.
Quello che salta agli occhi è ancora una volta che, quando non c’è deterrenza, o la deterrenza è esclusiva prerogativa del nemico, non solo si combatte con una mano legata dietro la schiena, ma il rischio di una dilatazione o espansione del combattimento si fa reale e progressivo. Tutte le considerazioni possibili sulla costruzione preventiva di un’architettura di sicurezza europea, progetto fallito o non coltivato, non tolgono che alla base dell’invasione c’è la certezza per Putin che la Nato non interverrà, che l’occidente non interferirà militarmente, non opporrà deterrenza a deterrenza in alcuna forma tangibile. Ora che il corso delle cose, avverso a Putin rispetto alle baldanti ipotesi della vigilia; ora che l’unità occidentale e le sanzioni e gli aiuti agli ucraini hanno determinato la credibilità della resistenza nazionale e rallentato o pregiudicato l’assedio territoriale delle grandi città, moltiplicando gli effetti della crisi umanitaria ma imponendo tempi e modi sgraditi all’esercito russo, ora è il momento di correggere parzialmente l’asimmetria di base che ha reso possibile l’invasione sostenendo la trattativa non solo con la promessa della neutralità, o la sua formalizzazione da parte del legittimo governo ucraino riconosciuto a parole per tale dalla diplomazia armata di Putin e Lavrov, ma con un sostegno dissuasivo ai limiti dell’interferenza diretta.
Invece abbiamo avuto il doloroso e grottesco pasticcio dei Mig-29 polacchi promessi e ritirati dopo una incredibile vicenda di incomprensione e “cattiva comunicazione” tra Varsavia e Washington. Non è un buon modo di correggere l’asimmetria bellica e spingere tardivamente per un accordo di tregua e di non belligeranza al quale forse i russi oggi sarebbero interessati. Se non liberi il braccio legato dietro la schiena, l’altro continua a picchiare.