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Nel fondo della cultura russa c'è un demone che parla ancora alla Russia

Giuliano Ferrara

Il misticismo, il pauperismo, l’amore selvaggio per l’umanità hanno consegnato l’anima russa a un diavolo sulfureo, un’istituzione sociale totale che va dagli zar a Stalin a Putin

Certo che amo la cultura russa, e anche la storia e la società russe, in qualche modo ne sono un microcampione biologico per essere stato bambino proprio lì, alla fine dei Cinquanta, e per via di una bella e adorata famiglia di comunisti italiani che provò a russificarsi nella speranza e tornò all’occidente nella disillusione liberale.

Tornato a San Pietroburgo sul limitare della vecchiaia, più di mezzo secolo dopo, trovai nel pubblico del Mariinskij nuovo, ché il vecchio abbaglia per il suo splendente orientalismo e non lascia il tempo per osservare la platea e il foyer, quel che si potrebbe dire “la mia gente”. I russi a teatro: modo di vestire di vecchi e giovani, certi chignon bianchi delle donne, reverenza composta per l’esercizio musicale, eterno sapore di sinfonismo al vinile, complessione dei corpi e disciplina spirituale comunitaria facevano un’aria di casa diversa da quella delle prime borghesi della Scala, del Costanzi o dell’Opéra Bastille, facevano popolo in una versione altra rispetto a quella liberale della mia Europa, e solo un ex russificato bambino poteva cogliere il dettaglio da adulto.

 

I miei ricordi di cultura e di società russa sono scarsi e raffazzonati, ma l’impianto in sé della memoria è solido. Però pongo un problema e vorrei che i russisti e i russofili mi aiutino a risolverlo: dove ha origine questa vocazione alla sottomissione di popolo che ha trasformato anche la modernità russa, il Novecento e questo orrendo scorcio del secolo scorso che stiamo vivendo, in una nemesi totalitaria delle rivoluzioni inglese americana e francese?

Amare la cultura russa è banale e imperativo, è scandaloso o penoso che lo si debba ricordare in tempo di sanzioni malposte e di ostracismi motivati dall’infamia della guerra. Però, a parte Puškin, poeta e narratore della frontiera occidentale dell’anima; a parte Tolstoj, che è paradossalmente il più grande scrittore di lingua francese esistito al mondo; a parte Gogol, un Boccaccio di secoli dopo capace di scrivere a Roma il suo capolavoro; a parte la soave rete di apparenze e inganni di Goncharov o di Cechov, borghesi sentimentali e umanitari per incanto e pigrizia; a parte le scintillanti e oniriche avanguardie e il realismo morale di Grossman o il sovrano cinismo di Nabokov, autore intensamente americano, bè, forse dovremmo confessarcelo, c’è qualcosa nel fondo della cultura russa, e in quello dostoevskiano in particolare, che spiega o anche solo accenna alla debolezza dell’uomo russo di fronte alle esigenze non retoriche della libertà civile.

Il misticismo lancinante, il pauperismo, l’amore selvaggio per l’umanità, un’attenzione indiscriminata, acritica, alla coscienza e all’amore, hanno probabilmente tirato un brutto scherzo all’anima russa, l’hanno consegnata come a nessun altro è mai accaduto a un diavolo sulfureo, un’istituzione sociale totale che va dagli Zar a Stalin a Putin, fatte le debite differenze di qualità e di maestosità. Masha Gessen è stata qualche giorno di nuovo a Mosca, e siamo nel XXI secolo in stato di avanzamento retrogrado, quando avanza l’Armata Rossa e chiudono i McDonald’s, mentre si scatenava l’invasione dell’Ucraina su tre fronti, e ha raccontato che i russi, eroismi individuali e di gruppo a parte, non sapevano e volevano non sapere che cosa succede.

Siamo nel mondo dell’Operazione Speciale, ritraduzione orwellesca della Grande Guerra Patriottica. Altro che social, sanzioni, libero commercio, lusso, consumi, viaggi, apertura, pluralismo delle fonti informative, altro che libertà civili. Gessen ha visto confermata, nel fatto comune di abitare un mondo parallelo di oscurità e di dolore sottomesso, l’antropologia dell’uomo sovietico che il suo vasto e intenso libro-inchiesta aveva ritratto, e che è sopravvissuta al crollo dell’Unione, alla dissoluzione putativa dell’impero. Perché Putin possa ritagliare Lenin dalla storia, in quanto reo di cedimento al sovranismo ucraino, ricucire (tra concetti e missili sui centri abitati) Piccoli Russi di Kyiv, Grandi Russi di Mosca e Bielorussi in un fraterno ordito ideologico buono per le prediche del Patriarca Kirill, e utile alla ristalinizzazione autarchica di un paese che sembrava, sembrava, essersi liberato dal concentrazionario, perché questo potesse non dico avvenire ma anche solo essere immaginato, un contributo della cultura russa non può essere scartato. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.