Corridoi disumanitari: il governo russo delle città ucraine
Bombe, assedio, sindaci-fantoccio, referendum, deportazioni. La strategia del Cremlino "ci penso io" e un termine associato alla storia sovietica: la deportazione
Quando il Cremlino ha annunciato, dopo le richieste occidentali, dei corridoi umanitari diretti in Russia e in Bielorussia, sono tornate alla memoria due cose: la prima, riguarda la strategia della Russia “ci penso io”, la seconda riguarda la storia. Vladimir Putin disse, nel 2013, all’allora Amministrazione Obama che avrebbe potuto occuparsi lui dello smantellamento delle armi chimiche del regime siriano. Sembrò una buona idea, fu l’inizio della gestione russa del conflitto siriano, terminata, dopo una carneficina, con il rafforzamento del dittatore di Damasco, Bashar el Assad. La seconda riguarda appunto la storia, o meglio un termine associato alla storia sovietica: la deportazione.
Le cronache che arrivano dalle aree conquistate dalla Russia in Ucraina sono inequivocabili: le città bombardate e assediate vengono prese in consegna dai russi, che insediano dei loro amministratori (in almeno tre casi i sindaci regolarmente eletti vengono rapiti e forse torturati: è accaduto a Melitopol, a Zaporizhzhia e a Dniprorudne), annunciano dei referendum sul modello della Crimea, poi arrivano i pochi beni di prima necessità, i registri su cui si mette il proprio nome per chiedere l’assistenza dello stato russo e i camion, talvolta bianchi, per portare via molti cittadini, dislocarli nelle aree già occupate, come il Donbas, o mandarli in Russia in quelli che vengono definiti centri di accoglienza ma che sono centri di smistamento o delle prigioni: la direzione è incerta, o si torna a combattere con i russi o chissà. Secondo alcune testimonianze, le forze filorusse addestrate dal 2014 nella regione orientale dell’Ucraina sono state chiamate per reprimere le manifestazioni che ancora esistono, come a Kherson, contro il nuovo potere costituito.
Le operazioni militari della Russia sono concentrate nella zona sudorientale dell’Ucraina, dove ai bombardamenti che hanno ucciso almeno novanta bambini, segue l’assoggettamento della popolazione con la forza e con un metodo militar-politico già sperimentato in Crimea e in Donbas. A Mariupol da giorni la Russia ha bloccato ogni aiuto umanitario dall’esterno. Ieri è cominciata una piccola evacuazione e chi ha seguito questa carovana in diretta diceva: per ora non è stata colpita. Le vie di fuga umanitaria fanno parte dei negoziati in corso tra ucraini e russi, ne sono state aperte ieri dieci. Circa centocinquanta automobili private sono partite da Mariupol verso Zaporizhzhia, nell’entroterra: è stato aperto già da qualche giorno questo corridoio, ma il ponte che va oltre la città e che attraversa il fiume Dnipro è stato bombardato. Ogni volta che la Russia gestisce una possibile via di salvezza questa si trasforma in un vicolo cieco.