Le bombe martoriano le città ucraine. Cercasi ancora un mediatore
I colloqui tra le delegazioni russa e ucraina riprendono oggi. Si discute del cessate il fuoco e anche il premier israeliano Bennett ne ha parlato al telefono con Putin e Zelensky. Gerusalemme rimane indecisa tra le sue necessità di sicurezza e i suoi imperativi morali
I bombardamenti russi sulle città sono feroci e indiscriminati, la Russia colpisce tutto e tutti – dall’inizio del conflitto sono morti 90 bambini ucraini – ed è evidente che la strategia sia quella di aumentare il panico della popolazione, di non far percepire nessun posto come sicuro, e di rendere più complicata la reazione dei soldati. La strategia è brutale e confusa, non è un buon segno per l’organizzazione dell’esercito di Mosca, ma non lo è neppure per Kyiv, colpita su più fronti e bisognosa di rifornimenti. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha detto che Mosca potrebbe prendere il controllo delle grandi città, ma non lo fa perché è stato il presidente russo, Vladimir Putin, a dare l’ordine di trattenere “qualsiasi assalto immediato perché le perdite civili sarebbero ingenti”. Non c’è nessuno disposto a credere alla buona fede del presidente russo: nelle città accerchiate e sfinite come Kherson, Berdyansk, Melitopol, Volnovakha, Nova Kakhovka, Hostomel, i russi stanno dando la caccia a politici, attivisti, volontari e giornalisti. Da Mariupol chi ha potuto, è fuggito, sono uscite dalla città circa 160 macchine. Anche Donetsk è stata colpita, i russi hanno detto che è stata responsabilità di Kyiv, l’esercito ucraino ha negato.
I colloqui tra le delegazioni russa e ucraina, che si sono tenuti ieri in videoconferenza, riprenderanno oggi. Uno dei delegati di Kyiv, Mikhail Podolyak, ha detto che si tratta di una pausa tecnica per superare alcune divergenze. Per permettere il “lavoro aggiuntivo nei sottogruppi e chiarire le definizioni individuali”. Il messaggio non vuol dire molto, ma lascia intuire che le discussioni si stanno concentrando ancora sul cessate il fuoco e sui corridoi umanitari. Le questioni politiche sono ancora distanti da definirsi e sebbene l’Ucraina si sia ormai dimostrata disponibile a parlare di neutralità, del riconoscimento della Crimea e dell’autonomia di Donetsk e Luhansk, la Russia va avanti. Avrebbe bisogno di far respirare i suoi uomini, ma non vuole dare tregua agli ucraini: punta alla vittoria e non vede compromessi.
Ancora si discute anche su chi potrebbe fare da mediatore tra le due nazioni. Il premier israeliano, Naftali Bennett, ha parlato al telefono prima con Putin poi con Zelensky, la chiamata si è concentrata sul cessate il fuoco. Era stato Zelensky a chiedere l’intervento di Israele, ma finora sulle decisioni di Bennett è pesato il difficile equilibrio tra preoccupazioni strategiche – il ruolo della Russia in Siria e la capacità di contenere l’Iran – e i suoi imperativi morali: una democrazia come Israele ha il dovere di sostenere Kyiv. David Khalfa, della Fondation Jean-Jaurès, ha detto al Foglio che “questo dilemma si vede dalle posizioni del premier Bennett e del ministro degli Esteri Yair Lapid”. Il primo restio a condannare la Russia, il secondo pronto a sostenere l’Ucraina: ha annunciato che Israele non “sarà usato come mezzo per aggirare le sanzioni alla Russia”. A preoccupare Gerusalemme è anche l’accordo sul nucleare con l’Iran, che gli Stati Uniti vogliono concludere in fretta. Prima di agire, Israele vuole delle rassicurazioni sul medio oriente, un’area che gli Stati Uniti hanno accantonato per concentrarsi sull’Indo-pacifico, chiede armi e strategia. Ieri l’agenzia di stampa iraniana Tasnim ha riferito che delle spie israeliane sono state arrestate: volevano sabotare l’impianto nucleare di Fordow. Per Israele ospitare l’incontro tra Zelensky e Putin a Gerusalemme, ergersi al livello di potenza mediatrice, prendere un posto di rilievo sulla mappa, sarebbe importante. Ma è considerato ancora rischioso.