Foto LaPresse 

Zelensky, il Churchill di Kyiv

Giuliano Ferrara

Il presidente ucraino così diverso dal guerrigliero eroico, così eroicamente antirisorgimentale

Ieri dicevamo. Bisogna diffidare della capacità di sofferenza slava e slavofila. E’ maestra di umanità ma imprigiona l’anima russa nei misteri poco gaudiosi dell’onnipotenza politica, tende a divinizzare il fatto compiuto, tende al fatalismo. Non è un caso se Putin, in uno dei suoi immaginifici e bugiardi discorsi di questo tremendo anteguerra ha citato la “capacità di sofferenza” come un prerequisito per resistere nell’avventura nazionale in cui ha cacciato la Russia.

Uno che sa soffrire con dignità diremmo “laica”, anche perché è misteriosamente ebreo nelle sue fibre profonde, è Zelensky. Usa le parole giuste per la sua ribellione al Golia che schiaccia il suo paese e il suo popolo, interpreta una cosa profonda che solo gli stolti e i propagandisti possono attribuire (l’unità nazionale ucraina e resistente, dico, di fronte all’aggressione) ai postumi di un colpo di stato del 2014, roba da matti fatti e finiti. E’ un Lenny Bruce della rivolta contro la prepotenza. Capisco l’insofferenza cinica nei suoi confronti, relativamente diffusa in Italia, specie tra le élite operose e moralmente pacioccone. Parla molto, sbuca da ogni dove e incanta le tribune maggiori di tutto il mondo con i suoi collegamenti allendisti, sta nella posizione scomodissima di chi rischia personalmente e diffonde senso di colpa per la sua sorte, non condivisa da buoni cattivi e cinici indifferenti, un tipo naturalmente superiore alle loro e mie opinioni.

 

La sua resistenza impossibile, e imprevedibile per un comico d’avanspettacolo fattosi profeta dell’identità adamantina di una comunità di destino, che è divenuta a sorpresa perfettamente europea, disposta al sacrificio e al negoziato anche il più spinto. Questo fatto che però non voglia “abdicare” (come dice il cantante perduto nell’etere), che non voglia lasciare il passo a un negoziato capestro, che gli si possa attribuire un revanscismo armato contro il revanscismo armato simmetrico del gigante aggressore, e questo sospetto o idea che a lui, ai suoi comportamenti, conseguano le difficoltà dell’economia occidentale sotto il rimbalzo delle sanzioni e del nervosismo dei mercati, che sia lui all’origine dell’aumento del prezzo alla pompa eccetera, tutto questo lo rende impopolare come icona della libertà, tra molta bella gente fuori dai confini delle città martiri e del paese sotto progressiva occupazione.          

 

Ma si deve capire che Zelensky è un Churchill vero, redivivo, non solo uno che promette lacrime sangue e vittoria, è uno che, come il premier inglese sotto ai bombardamenti del 1940 e 1941, sa ridere nella tragedia, sa calibrare una grande retorica con il senso acuto della vita reale, è più di Amleto con il suo “to be or not to be”, è anche un fool scespiriano, uno che spende humour e attenua in senso appunto laico, battuta dopo battuta, facendo l’occhiolino in camera, sorridendo nel buio, la classica capacità di sofferenza e di combattimento dell’anima cosacca degli ucraini. Così alta e risonante, perché così indifferente all’alto e al basso della partitura, non era ancora apparsa sulla terra una simile retorica di resistenza, salvo il precedente di Winnie che scriveva i discorsi parlamentari e radiofonici per un paese devastato avvolto nella sua vestaglia a fiori, dopo aver sonnecchiato, e spesso li scriveva a letto nel riparo incerto dei Chequers, non per i social. Noi abbiamo cancellato dalla nostra memoria biologica il Risorgimento sabaudo, perché troppo serio e serioso nella scelta delle parole, e i monumenti sono tutti a Garibaldi e ai suoi laconismi popolari come “Roma o morte”, “Qui si fa l’Italia o si muore”, “Obbedisco”. E il “Va’ pensiero” verdiano cantato in piazza a Odessa non fa solo piangere a fiotti, è una proiezione perfetta della cantilena tragica di Zelensky, così diverso dal guerrigliero eroico, così eroicamente antirisorgimentale, lui che guida ebraicamente il popolo dei “Va’ pensiero”, ebrei alla ricerca di una promessa.

 

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.