Il presidente russo Vladimir Putin (foto Thomas Kronsteiner/Getty Images) 

C'è un partito trasversale che su Putin continua a dire “sì, ma”

Claudio Cerasa

Il nazionalismo è azione, non reazione. L’ideologia che guida i crimini di guerra e che gli amici del putinismo si rifiutano di nominare

Non amo Putin, ma lo capisco. Non amo Putin, ma lo comprendo. Non amo Putin, ma se fa quello che fa la colpa è davvero tutta sua? Tra gli osservatori meno disposti ad affondare gli artigli contro i crimini di guerra commessi in Ucraina dal dittatore russo, ovvero da Vladimir Putin, esistono due particolari categorie, entrambe portatrici di menzogne, che vale la pena analizzare con un briciolo di attenzione.

   

La prima categoria, forse la più innocua, è composta da alcuni osservatori che da giorni si affrettano a incasellare le azioni di Putin all’interno di una categoria tutto sommato rassicurante: la pazzia. Tesi: Putin ha perso la testa e, a causa di questa sua deriva, ha deciso di mettere in atto un’azione tutto sommato inspiegabile, del tutto in contraddizione con i segnali distensivi offerti negli ultimi anni.

   

La seconda categoria, che è invece la più insidiosa, è composta da alcuni osservatori che provano a nascondere la propria naturale affinità al putinismo utilizzando una formula retorica apparentemente neutrale, “reazione”, dietro la quale c’è però tutta una visione del mondo che anche in tempi di guerra non riesce a essere celata fino in fondo. Non amo Putin, ma lo capisco. Non amo Putin, ma lo comprendo. Non amo Putin, ma se fa quello che fa la colpa è davvero tutta sua?

  

Il partito desideroso di condannare Putin con un vigoroso “sì, ma” è un partito trasversale il cui compito principale è di cancellare dal dibattito pubblico una verità difficile da sostenere per chi per anni si è abbeverato con foga alle fonti tossiche del populismo becero. E la verità, ovviamente per molti inconfessabile, è presto detta: le azioni di Putin non nascono in reazione a una provocatoria azione dell’occidente (l’avvicinamento della Nato) ma nascono in relazione a un’azione deliberata perfettamente coerente con l’ideologia nazionalista imperialista mascherata da Putin in Grande Guerra Patriottica.

 

Per gli utili idioti dell’antieuropeismo, che negli anni hanno tentato di trasformare il putinismo in un’ideologia utile a scardinare gli ingranaggi delle democrazie liberali, non è semplice dover ammettere quello che oggi risulta evidente, ovverosia che il nazionalismo portato alle sue estreme conseguenze produce tensioni tali da essere in grado di scatenare delle guerre. E si capisce che concentrarsi più sull’inevitabile “reazione” di Putin – attualmente, tra i paesi della Nato che confinano con la Russia ci sono: Estonia (membro della Nato dal 2004), Lettonia (membro della Nato dal 2004), Norvegia (membro della Nato dal 1949), e Lituania (membro della Nato dal 2004, che come la Polonia confina con la Russia attraverso l’enclave di Kaliningrad) – sia un modo tutto sommato semplice per condannare la follia dello zar facendo sparire con un tocco di magia tutto ciò che ha spinto la zar a fare quello che sta facendo oggi.

  

  

Trasformare le azioni dettate da un’ideologia in reazioni dettate da responsabilità altrui è uno stratagemma utilizzato ogniqualvolta che un’azione violenta presenta motivazioni ideologiche non troppo distanti dalle proprie idee. E le scene semplicemente patetiche mostrate in queste ore dagli orfani politici del putinismo sono le stesse che tendono a mostrarsi con forza ogni qual volta, per esempio, un suprematista bianco sceglie di mettere la violenza a servizio delle proprie idee xenofobe.

 

Se un islamista uccide qualcuno, la destra, giustamente, invita il popolo a interrogarsi su quale ideologia tossica abbia spinto l’islamista ad attaccare un simbolo dell’occidente. Se a mettere in campo crimini di guerra è qualcuno, come Putin, con cui si è scelto di condividere per molto tempo un percorso politico, dire “è pazzo” o “è stato provocato” è il modo migliore per chiudere gli occhi di fronte a ciò che non si vuole vedere: l’ideologia tossica che da tre settimane ha spinto Putin a trasformare il nazionalismo in un crimine di guerra.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.