idee e verità
Con la guerra, il bailamme degli argomenti diversivi diventa un burlesque senza allegria né verità
Da una parte i carri armati, dall’altra la difesa come atto di sopravvivenza in nome della libertà di tutti. Così la protezione solidale di vittime vere e il negoziato nella giustizia ha prevalso sul ragionamento sofistico che aveva snervato le democrazie liberali
In apparenza è l’opposto, in realtà con il ritorno della guerra d’aggressione in Europa, appendice tragica (in immediata successione) della pandemia, la famosa “battaglia delle idee” è finita con una loro clamorosa sconfitta. Decenni di pace interna, e di conflitti esterni e tutto sommato esotici, senza carri armati ai nostri confini e senza bombardamenti, senza rivolte di popolo in nome dell’indipendenza, senza trucismi neobolscevichi o stalinisti, senza piani di influenza minacciosi che ci riguardassero, avevano dato origine a un confortevole e pacioccone caos degli argomenti.
Anche con il contributo dei social, e con la crisi dei giornali di carta, le idee individuali erano esplose, si erano moltiplicate come un magma mostruoso e incandescente, franavano sulla democrazia e la facevano, come si dice, “discutidora”. Il terrorismo non aveva cambiato il quadro, perché nessuna guerra santa provocava l’aumento della benzina, la frenata della crescita, il possibile rarefarsi delle risorse decisive per produrre e riscaldarsi o mandare avanti gli apparecchi energivori domestici, l’inflazione galoppante, la fine della mobilità libera internazionale, l’orrore strategico del rischio nucleare, nel terrorismo mondiale c’era qualcosa di prossimo, addirittura il pericolo “casuale” di finirci in mezzo, e di lontano, perfino di esotico, ma lo scontro di civiltà era un’ipotesi antropologica o storiografica, le guerre giuste o sbagliate riguardavano altri scenari, altri popoli lontani, situazioni limite. Una volta che ci siamo autorizzati a pensare ciascuno con o senza la propria testa, a opinionare in modo convulso e universale senza la pazienza di studiare, ascoltare, leggere, concentrarsi, tutti ferrati e queruli su tutto, abbiamo rinunciato all’evidenza del senso comune, al principio di realtà, e siamo affondati progressivamente in una lite da cortile sui complotti, alla ricerca di spiegazioni facili, dal suono inequivocabilmente falso, abbiamo rinunciato a studiare i problemi, a prendere atto dei fatti, a mettere distanze tra l’elaborazione dei dati e le paure irrazionali, i pregiudizi ideologici banali, abbiamo mescolato ogni cosa con il suo contrario.
Con la guerra europea e le sue certezze ravvicinate, aggressore e aggredito, stato autoritario contro democrazia, velleità espansionista e libertà di autodeterminazione, coraggio civile nella difesa della bandiera e della comunità, tutto è cambiato. Resistono in pochi, cercano spazio e lo ottengono, fanno le vittime, si danno volentieri in pasto ai talk-show, furoreggiano senza vero furore, e vengono sì accolti dai media del ciarliero e dell’inessenziale ma sono come scartati da un’ampia maggioranza che ha messo l’istinto, la difesa, le armi, la pace, la protezione solidale di vittime vere, il negoziato nella giustizia, vecchie bandiere della Seconda guerra mondiale, al posto del ragionamento sofistico che aveva snervato e reso grottesche le procedure tipiche della democrazia liberale.
Quando si rialza il famoso passaggio a livello del confine tedesco-polacco, come nel 1939, anche se sono passati settantatré anni e dal bianco e nero si è passati in ogni senso al colore, una grande onda di semplificazione, benedetta, sommerge la psicologia vana dei distinguo, e tutto sembra sempre più chiaro a un numero sempre maggiore di persone. Da una parte i carri armati, l’esibizione della potenza, il linguaggio caricaturale e orwelliano dell’Operazione speciale che dissimula lo scopo dell’aggressore, insomma il campo funesto della Zeta, dei simboli di morte per i civili, dei bombardamenti sui centri residenziali e sui teatri pieni di rifugiati, dell’assedio a pane e acqua senza elettricità e senza medicine, dall’altra la difesa come atto di sopravvivenza in nome della libertà di tutti, la beffa della resistenza che rallenta il rullo compressore e infligge perdite, la solidarietà umanitaria armata che filtra dalle frontiere anche con il contributo delle democrazie strette nell’alleanza difensiva e chiuse all’intervento diretto e ai suoi immensi pericoli.
È come per i vaccini, non c’è gara, alla fine si sono vaccinati quasi tutti. Il bailamme degli argomenti diversivi, delle remore e delle opposizioni scomode ma di comodo, tutto questo davanti alla tempesta d’acciaio diventa un bordello e un burlesque senza allegria né verità, prevale l’istintivo riconoscimento delle cose come stanno.