I confini, i volontari, i missili. Reportage politico dall'Ucraina
In viaggio verso il paese sotto assedio per portare un po' di conforto alla popolazione che resiste. Diario di una missione
Al direttore - Domenica mattina alle 5 sono rientrato dall’Ucraina, dai pressi di Uzghorod vicino al confine unghesere. Con me venti volontari di due associazioni: Non Dolet e Good Guys in Bad Lands, per lo più veterani dei comparti Difesa, Sicurezza e Soccorso; siamo stati in Ucraina con otto mezzi carichi di alimenti, farmaci e vestiti donati da aziende e privati.
Sono le 6 del mattino di venerdì 11 Marzo, caricati i camion il convoglio si mette in moto direzione Ucraina. Varcato il confine con la Slovenia la prima amara constatazione: il gasolio costa 1,47€ contro i 2,29€ italiani. Passeranno altre 12 ore prima di raggiungere, alle 3.30 del mattino, a -8 gradi, la città di Zahoni al confine tra Ungheria e Ucraina. L’appuntamento con le autorità ucraine è per le 5.00 dall’altra parte. Ma un messaggio da un referente del governo ucraino che parla un discreto italiano ci avvisa: “Non fate la fretta, perché c’è allerta aerea ad Uzhgorod. Tutti sono in rifugio antiaereo”. Passerà un’altra ora per avere via libera, l’allarme è rientrato.
L’accoglienza alla dogana da parte degli ungheresi è assai fredda. Non hanno la faccia di chi gradisce quel traffico. Pochi metri e siamo in Ucraina, soldati poco più che 18enni sorridono alle bandiere italiane cucite sulle nostre giacche. Ad accoglierci Dmytro Liubota e Mikailo Laba, deputati del Parlamento ucraino, e un manipolo di uomini della loro sicurezza. Non facciamo in tempo a scendere dai mezzi che risuonano le sirene antiaeree.
Corriamo in un palazzo, al piano terra, fino a che l’allarme non cessa. Mentre ci spostiamo verso il magazzino, una decina di chilometri più in là, ci chiedono se nei camion ci siano equipaggiamenti militari, e sembra più una speranza che una domanda. Ovviamente no, solo aiuti umanitari. Al che i due deputati, che nel frattempo mi avevano fatto scaricare una app che avvisa dove ci sono allarmi aerei, mi fanno vedere video di civili che urlano sotto le macerie e palazzi in fiamme. Dicono che i russi non sono precisi nei bombardamenti, quasi a credere che gli errori non siano intenzionali. Mi chiedono se possiamo tornare e portare materiale per fare i giubbotti antiproiettile, tessuti per cucirli; loro al momento se li fabbricano da soli, con le piastre ricavate dai telai delle auto.
Si riparte, il convoglio si mette in moto, per le strade quasi nessuno, uno strano silenzio. Dal retro del magazzino spuntano dieci uomini in divisa da lavoro, un po’ emaciati ma pronti a scaricare. Il responsabile del magazzino mi guarda e in inglese dice: “Domani questi aiuti vanno sul fronte a Sumy e Kharkiv, pesantemente bombardate dai russi”. Finito di scaricare prendo dal mio zaino una bandiera ucraina che avevo portato con me, facciamo una foto. Chiedo ai due deputati se vogliono firmare il drappo. Due, le dediche: “Thank you Italy" e un cuore, e “Slava Ukraini”. Poi l’abbraccio, la promessa di ritornare presto, la richiesta della No fly-zone e del supporto aereo, come un ultimo tentativo di ricordarci che questa non è solo la loro guerra.
Sono ormai le 9 del mattino, ci mettiamo in moto verso il confine. Ci avviciniamo con i mezzi all’ultimo soldato di guardia al confine, guarda i documenti e in ucraino ci fa capire che manca un timbro per uscire. Conciliaboli, telefonate, poi la conferma: “Senza timbro non potete uscire dall’Ucraina”. Poco più in là, due soldatesse in un gabbiotto che prendono i documenti, incredule vedono che due di noi non hanno il passaporto, sorridono, avranno pensato “gli italiani”, mettono un timbro su un foglio che consegniamo al soldato (giovanissimo) che ci aspettava, di nuovo dogana ungherese, di nuovo freddezza e sguardi in cagnesco, ci chiedono se abbiamo armi, noi diciamo di no e ne andiamo.
L’Ucraina è alle nostre spalle. Per tutto il tragitto parliamo poco, chi non guida sonnecchia. Siamo nel cuore della nostra Europa, è ancora inverno e nelle nostre case scaldate pesano dì più le bollette dei bollettini di guerra, ma tutto va avanti come prima. Putin probabilmente lo sa: non sono intervenuti in Siria, Yemen, Libia, Nagorno Karabakh, non lo faranno neppure adesso. Invece qualcosa si muove, armi ed equipaggiamenti l’Europa li sta dando e per alcuni, come me, gli ucraini sono cugini dell’Europa che noi non lasciamo soli. Domani si vedrà, se costruiremo la pace o ci arrenderemo alla guerra, ora sono le 5 del mattino di sabato, posso dormire nel mio letto con i miei figli che sanno ma non capiscono. Solo mille chilometri più a est, ci sono bambini che hanno la stessa età, ma hanno già visto e capito troppo.
Matteo Perego, deputato di Forza Italia