alle porte di Kyiv
Il rifugio ad Anatevka, dove gli ebrei fuggono dai denazificatori di Putin
Fino al 2015 era un luogo dell’immaginazione, per sei anni si è trasformato in una piccola utopia del chassidismo ebraico e da qualche giorno è l’emblema della diaspora interna degli ucraini, in fuga dai loro sedicenti liberatori russi. Dalla penna Sholem Aleichem alla drammatica realtà
Dalla penna al teatro, dal teatro alla pellicola e dalla pellicola alla realtà, oggi drammatica, alle porte di Kyiv. È la metamorfosi di Anatevka: fino al 2015 era un luogo dell’immaginazione, per sei anni si è trasformato in una piccola utopia del chassidismo ebraico e da qualche giorno è l’emblema della diaspora interna degli ebrei ucraini, in fuga dai loro sedicenti liberatori russi. In questo piccolo shtetl mai esistito in un’oblast non ben definita della Russia zarista, alla fine del XIX secolo lo scrittore ebreo Sholem Aleichem ambienta alcuni dei suoi racconti in yiddish. Ad Anatevka vive anche Tewje il lattivendolo, protagonista della storia omonima pubblicata nel 1895, dieci anni prima che Solomon Naumovič Rabinovič, questo il vero nome dello scrittore, lasciasse la Russia e i suoi pogrom alla volta di New York.
La vita di Sholem Aleichem, morto a 57 anni dopo essere stato a lungo segnato della tubercolosi, conoscerà alti e bassi: nato poverissimo a Pereyaslav, a 80 km a sudest di Kyiv, conoscerà una fama enorme: quando Lev Tolstoj volle tre dei sui racconti tradotti in yiddish si rivolse a lui. Al funerale nel 1916 a New York del “Mark Twain ebreo” parteciparono 150 mila persone, mai vista una folla così a una cerimonia funebre a quell’epoca. In vita lo scrittore si era diviso fra il Queens e Zurigo, dove uno dei suoi figli sarà costretto a soggiornare fino alla morte, ancora giovane, per tubercolosi. Shalom Aleichem non abitò invece mai ad Anatevka perché allora Anatevka non esisteva. Fra il 1895 e il 2014, Anatevka era a Broadway, dove nel 1964 Jerry Bock musicò le storie del lattivendolo Tewje trasformandole nel musical “Il violinista sul tetto”. Il successo strepitoso del musical spinse il regista Norman Jewison a farne un film nel 1971: il suo “The Fiddler on the Roof” fu premiato con tre Oscar e una valanga di riconoscimenti internazionali.
Quella dello shtetl di Anatevka è una storia diversa, con meno lustrini e più fango. Anatevka quale centro di accoglienza per gli ebrei ortodossi ucraini è nato solo nel 2015. Quando gli emissari del movimento chassidico Chabad costruirono una sinagoga in legno e due bagni rituali alla periferia ovest di Kyiv, chiamarono il luogo Anatevka per onorare Aleichem. Il giorno dell’inaugurazione della sinagoga voluta dal rabbino Moshe Azman di Kyiv, l’unica struttura non di legno era la scuola locale, ricorda il Times of Israel presente alla cerimonia insieme all’allora ambasciatore d’Israele Eliav Belotsercovsky. Ad Anatevka si sono stabiliti ebrei di Luhansk e della Crimea, in fuga dall’avanzata russa e anche altri ebrei ucraini felici di condividere il progetto di rav Azman nonostante le difficoltà di trasferirsi in un minivillaggio sorto dal nulla, con stufe a legna, senza servizi postali né un supermercato. Dalla scorsa settimana, Anatevka ha conosciuto una nuova vita con decine di ebrei in arrivo in cerca di un rifugio dalla guerra. Nelle poche case dell’agglomerato è stato un crescendo di materassi, con gli abitanti di sempre impegnati a fare spazio ai nuovi arrivati.
“Ma adesso qua non è più sicuro”, ci ha spiegato al telefono rav Yossi Azman, anche lui emissario di Chabad e figlio del fondatore della nuova Anatevka. All’inizio della guerra uscire da Kyiv era sembrata una scelta sicura. L’intensificarsi delle operazioni russe a tenaglia attorno alla città ha invece spaventato gli abitanti del neo shtetl “e cinque pullman di persone sono partite per pregare nella nostra sinagoga a Kyiv”, ha aggiunto Azman. Gli ebrei ucraini, rigorosamente russofoni al pari del presidente Volodymyr Zelensky – anche lui ha imparato bene l’ucraino solo in anni recenti – sono in preda al terrore e in molti puntano a lasciare il paese. La rete di Chabad serve anche a questo: fra i primi a scappare si contano 120 bambini dell’orfanotrofio ebraico di Odessa fra i 34 giorni e i 16 anni di età, accolti e rifocillati dalla sinagoga Chabad di Berlino dopo molti giorni di viaggio – anche di sabato: salvare una vita in pericolo prevale sul rispetto della legge ebraica. Domenica scorsa, sempre grazie a Chabad, sono arrivate a Berlino altre 200 mamme ebree con bambini dall’Ucraina orientale. La fuga degli ebrei ucraini dai denazificatori russi non conosce sosta.