La guerra di Putin con l'acqua alla gola
L’invasione dell’Ucraina e una fetta di storia russa spiegate con le teorie (politiche) di uno scienziato atmosferico. Non una reazione alle provocazioni dell’occidente, ma una strategia di espansione nazionalista che include la conquista dell’acqua
Giulio Boccaletti è uno scienziato atmosferico molto stimato nel mondo accademico. Ha lavorato all’Università di Bologna e a quella di Princeton. E’ stato uno dei membri del progetto della Nasa chiamato “Earth Systems Science Fellow”. E’ passato per McKinsey. E’ entrato a far parte del World Economic Forum. E ha trascorso buona parte della sua vita a studiare uno dei più importanti elementi della nostra natura: l’acqua. Boccaletti, però, non ha studiato l’acqua con l’occhio pigro del benecomunista interessato a dimostrare che l’acqua è un bene che appartiene a tutti e che per questo deve essere slegato da ogni logica d’efficienza che lo renda vincolato a concetti vetusti come globalizzazione, capitalismo, regole del mercato. Boccaletti ha fatto qualcosa di più sofisticato: ha studiato il modo in cui l’acqua nel corso della storia ha determinato alcune trasformazioni del nostro sistema politico. E un anno fa, dopo decenni di studi, ha trasferito le sue conoscenze in un libro che ha trovato molto spazio sulle pagine dei giornali internazionali e che ha trovato invece poco spazio sulle pagine dei giornali italiani.
Il libro si intitola “Acqua: una biografia” (Mondadori) ed è un libro molto ambizioso in cui Boccaletti espone una tesi interessante. Boccaletti sostiene che i tentativi di organizzare una società circondata dall’acqua in movimento “hanno prodotto istituzioni che legano insieme gli individui in un rapporto di reciproca dipendenza nel tentativo di gestire il proprio ambiente”. E afferma che “la repubblica è emersa come il meccanismo più efficace per mediare tra le moderne preoccupazioni per la libertà individuale e il beneficio collettivo, a fronte della forza devastante dell’acqua”. La ragione per cui il testo di Boccaletti cade bene nelle giornate di guerra in cui ci troviamo oggi ha a che fare con un filo conduttore speciale che ci permette di studiare il putinismo attraverso uno dei più importanti elementi della nostra natura: l’acqua, ovviamente.
E’ stata l’acqua, anni fa, a convincere Putin a fare decisi passi in avanti in Siria, al servizio di un dittatore sanguinario di nome Assad, e il rapporto tra Putin e Assad è stato concretizzato proprio attorno al tema dell’acqua. L’acqua, in questo caso, intesa come sbocco sul mare, sul Mediterraneo, sbocco che la Russia ha conquistato nel 2019 ricevendo in concessione dalla Siria il porto di Tartus, di fronte a Cipro, per i successivi 49 anni. Un porto che da allora ospita una forza stabile di sottomarini, in numero variabile tra le due e le quattro unità, e sul quale Mosca ha investito oltre 500 milioni di dollari per ampliare la base, che è a oggi l’unica fuori dal territorio nazionale russo. L’acqua, però, magicamente, e tragicamente, torna anche nel conflitto in Ucraina e torna per ragioni legate al presente e per ragioni legate al passato. Torna nel 2014, quando la Russia annette la penisola della Crimea, uno degli affacci sul mare dell’Ucraina, e torna quando Putin arriva con le sue truppe fino a Sebastopoli costringendo la flotta militare dell’Ucraina a spostarsi a Odessa.
E torna tragicamente anche nel 2022. Per almeno quattro ragioni. Primo: sono sull’acqua due delle città più importanti dell’Ucraina che Putin, a colpi di bombardamenti, ha scelto di conquistare: Odessa e Mariupol, entrambe sul Mar Nero. Secondo: c’è l’acqua tra gli altri obiettivi di Putin in Ucraina, e non è un’ipotesi del tutto peregrina quella formulata da chi sostiene che uno dei motori dell’azione di Putin sia trasformare il fiume che divide in due Kyiv, il Dnipro, nel confine tra le due Ucraine del futuro, in una nuova cortina di ferro, o se volete di acqua, capace di dividere a metà l’Ucraina: tra est e ovest. Terzo: c’è l’acqua tra le armi di propaganda usate dalla Russia per giustificare l’invasione in Ucraina – le prime immagini diffuse dalla propaganda russa dopo l’invasione hanno coinciso con alcuni enormi tubi utilizzati dai russi per portare più acqua alla Crimea. Quarto: c’è sempre l’acqua a dividere simbolicamente ciò che la Russia considera come una sua sfera di influenza e ciò che la Nato considera come una sua sfera di influenza, e il primo atto di fedeltà mostrato dalla Turchia nei confronti della Nato riguarda sempre l’uso dell’acqua – la Turchia, che con la Russia ha scelto di dividersi l’egemonia del Nordafrica, a inizio marzo ha chiuso gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo per impedire alla Russia di passare con navi militari e raggiungere il Mar Nero. (L’immagine dell’acqua, per Putin, è importante anche rispetto al suo legame con la Chiesa, e l’immersione nell’acqua ghiacciata, che si celebra ogni anno in occasione dell’Epifania ortodossa, tra il 18 e il 19 gennaio, è da anni un omaggio al rapporto speciale che esiste tra il presidente russo e la Chiesa ortodossa, che molto ha fatto negli ultimi giorni per giustificare l’invasione dell’Ucraina).
Boccaletti ricorda poi che, nella storia recente della Russia, la rincorsa all’acqua è stata spesso un motore delle ambizioni espansionistiche di alcuni predecessori di Putin. Per quanto vasta e ricca di acque e di terra, scrive Boccaletti, la geografia idrica della Russia è sempre stata complessa. “Il suo primo impianto commerciale fu una centrale termica, che venne costruita nel 1886, ma la Russia, nonostante quella scelta, decise di restare legata alla corrente continua invece di convertirsi a quella alternata, e così le sue centrali elettriche rimasero piccole e l’energia idroelettrica un’opzione in gran parte teorica. La prima centrale idroelettrica del paese fu costruita nel 1895, ovviamente dall’esercito, per servire una fabbrica di polvere da sparo. In seguito, l’energia idroelettrica industriale per l’estrazione mineraria si sviluppò nel Caucaso, in Siberia e in Georgia. Ma l’energia idroelettrica su larga scala, necessaria per rifornire le città, faticava ancora a decollare”.
La rincorsa all’acqua, compresa quella che si trova in Ucraina, ha sempre coinciso, per la Russia, con un progetto politico, prima ancora che idrico. Lenin, per esempio, ricorda ancora l’autore, era convinto che l’elettrificazione, e in particolare l’elettrificazione rurale, potesse ridurre l’ampio divario che separava le popolazioni urbane dalle campagne. Il comunismo, sosteneva Lenin, “è tutto il potere ai Soviet più l’elettrificazione dell’intero paese”, e Lenin lo diceva perché “era convinto che l’elettrificazione, e in particolare l’elettrificazione rurale, potesse ridurre l’ampio divario che separava le popolazioni urbane dalle campagne. E l’elettrificazione, in Russia, dipendeva dall’acqua. La Russia, sintetizza l’autore, ha “realizzato il comunismo attraverso l’elettrificazione dei propri fiumi”, e il fatto che Putin abbia deciso di trasformare la conquista delle città sull’acqua nell’obiettivo della sua campagna d’Ucraina è lì a ricordarci nuovamente una verità che in troppi non vogliono vedere: la guerra di Putin non nasce come reazione alle provocazioni dell’occidente, ma nasce come un’azione diretta, ispirata alla volontà di mettere in campo una strategia di espansione nazionalista che include anche la conquista dell’acqua. Azione, non reazione. Ideologia, non provocazione. Volontà d’espansione, non strategia di difesa. Il putinismo, in fondo, passa anche da qui, e le prossime ore ci dimostreranno chi, tra la Russia e i suoi avversari, mostrerà di essere o no con l’acqua alla gola.