La guerra in Ucraina tra manipolazioni e politica
Israele e la destra italiana, Putin e l’Ucraina: manipolare o essere manipolati, il confine è sottile
Manipolare o essere manipolati, il confine è sottile. In politica queste due dimensioni si intrecciano, come nella vita. Israele va giudicato tenendo conto di questa distinzione, quando manca all’appuntamento con la solidarietà attiva con gli ucraini. Che non sono oggetto di un piano genocidario paragonabile alla Shoah, perché bisogna sempre ricordare che lo sterminio degli ebrei d’Europa avvenne solo e soltanto in quanto erano ebrei, e come tale fu perpetrato. Un’invasione, con il suo carico di morte e violenza su larga scala, inasprito dal suo carattere di combattimento contro i civili e dalla espulsione o deportazione forzata di milioni di persone, e sfigurato dalla negazione dell’identità di un popolo che vuole autogovernarsi e scegliere il proprio destino, è segno catastrofico di spietatezza e paranoia omicidiaria, oltre che un immenso problema politico, ma non è un pogrom gigantesco e finale sulla base del razzismo biologico. Detto questo, è triste che Israele, campione del diritto all’esistenza sicura come tale amato da una parte di mondo, non sia fratello della nazione ucraina a rischio di estinzione bellica in quanto tale. Abraham Yehoshua ha detto che l’occidente deve fare di più, e che deve fornire armi pesanti e offensive e carri armati a chi resiste tra Leopoli, Mariupol, Odessa e Kyiv. Anche lui è Israele.
Il governo di Gerusalemme non è un libero testimone, ha doveri di cautela e sapienza difensiva. E’ costretto a una politica estera manipolativa. La Siria e l’Iran sono i suoi due problemi maggiori di sicurezza. La Russia di Putin in questo teatro di minacce è un player importante, per certi aspetti anche decisivo. Una rottura aperta di timbro strategico, politica e etica, come quella intervenuta tra la Russia, l’Europa e l’America, non è nelle cose.
Il problema allora è non varcare il confine tra il manipolare e l’essere manipolati. Nella sua alleanza di ferro con Trump, Netanyahu era andato vicino a quel confine, pur avendo ottenuto risultati molto significativi di protezione esistenziale del suo paese nella iniziativa della Casa Bianca e del Congresso degli Stati Uniti. Il rischio era di essere manipolato, legittimando il peggiore misto di populismo aggressivo e di disprezzo per la democrazia liberale che la presidenza Trump ha incarnato per il resto del mondo, non a caso in legame oscuro con Putin. In questo il suo successore, Bennett, è nella stessa sua posizione: deve stare nel campo della mediazione statuale senza mollare la trincea della naturale solidarietà di Israele verso un popolo minacciato con i modi oltraggiosi e furiosi che si conoscono, e senza ridursi a cuneo nella ritrovata compattezza del campo occidentale di fronte al ricatto armato. Non solo la vita è spericolata, anche il gioco delle nazioni.
Lo stesso discorso vale per la destra italiana. Berlusconi, da uomo privato salito alle cariche pubbliche, amico personale e politico di un Putin che lo ha sostenuto quando era cinto d’assedio da poteri e potenze avverse, che agivano spesso con intento manipolatorio, aveva reagito con una notevole alzata di ingegno: il seminario Nato-Russia di Pratica di Mare è stato l’ultimo tentativo di creare le basi di una architettura di sicurezza che fungesse da deterrenza nei confronti dell’espansionismo putiniano, un caso di manipolazione positiva. Ma il suo mezzo silenzio distratto di oggi è di là dal confine tra il manipolare e l’essere manipolati, sebbene i suoi parlamentari e ministri si comportino decisamente come chi è nel campo dei difensori del diritto e dell’Ucraina resistente.
Salvini ha smesso per un momento di giocare con atteggiamenti e parole, scottato dall’accoglienza ricevuta in Polonia a colpi di felpa putiniana, ma è un altro che si è travestito da pacifista innocuo (e destituito di qualunque credibilità), un altro che non ha elaborato il suo putinismo sciatto e ridanciano del passato alla luce delle conseguenze, il che è grave per un politico ambizioso. Fino alla scelta di non citare mai il nome del presidente russo, origine della storia infame di queste settimane, che segnala non la sua manipolazione attiva dei fatti e delle immagini (l’uomo forte, gli interessi all’export delle piccole imprese padane, i valori dell’occidente cristiano eccetera) ma il suo essere manipolato o manipolabile sul modello delle riunioni all’hotel Metropol. Anche Marine Le Pen ha avuto traffici finanziari con la Russia, ma sul confine della manipolazione si districa meglio, difendendosi e contrattaccando, non giocando al “piccolo pacifista”, sebbene sia comunque destinata a pagare qualche prezzo politico ed elettorale. Giorgia Meloni riesce a tenere insieme la disinvolta sequenza di trumpismo e occidentalismo a difesa dell’aggredito, via alleanza con Varsavia e il gruppo di Visegrád, e in questo per ora si mostra sagace e attenta al confine tra chi manipola e chi è manipolato.