il summit
La Nato sulla difensiva. Vince il fronte moderato per evitare il coinvolgimento diretto
Ma la Difesa si rafforza a oriente
La variabile adesso riguarda due fattori: l’uso delle armi chimiche da parte della Russia in Ucraina e la Cina
Per affrontare quella che viene definita “la più grande minaccia contro la nostra sicurezza in una generazione”, i leader dei trenta paesi della Nato hanno deciso oggi, durante la riunione straordinaria a Bruxelles, che bisogna essere più pronti e armati, soprattutto sul lungo periodo. Ma senza rivoluzionare di fatto l’assetto già esistente della Nato. Come anticipato dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, i leader dei paesi membri hanno approvato un piano non solo per raddoppiare i battlegroup sul fronte orientale d’Europa, ma per renderli operativi “sul lungo periodo”. I battlegroup non sono basi militari, sono piccoli battaglioni di risposta rapida pronti a partire e con capacità specifiche. Secondo quanto deciso, i quattro nuovi gruppi saranno dislocati in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia e si aggiungeranno a quelli già esistenti in Polonia e nelle Repubbliche baltiche. Il Regno Unito, ha detto Boris Johnson, raddoppierà la sua presenza in Polonia ed Estonia e manderà truppe in Bulgaria. Ci sarà anche una “riconfigurazione” della deterrenza, ha detto Stoltenberg: “Sulla terraferma avremo molte più forze nella parte orientale dell’alleanza, molto più pronte, con più equipaggiamenti di precisione. Nello spazio aereo, avremo più jet e integreremo e rafforzeremo il nostro sistema antimissilistico”.
“Le nostre misure restano preventive, proporzionate e non di escalation”, si legge nel comunicato congiunto finale dei leader Nato. Ha vinto quindi il fronte della moderazione rispetto a quello più aggressivo, guidato dalle Repubbliche baltiche e dalla Polonia, che chiedevano alla Nato la creazione di vere basi militari permanenti sul fronte orientale e "una postura di difesa costante e attiva", dice una fonte al Foglio, e "dell'attivazione della capacità Anti Access/Area Denial" (una formula difensiva molto concreta per prevenire eventuali attacchi su paesi Nato), ma il risultato è stato "piuttosto deludente". Parlando in conferenza stampa, il presidente americano Joe Biden ha detto che “non siamo mai stati così uniti, ed è la cosa più importante”, e che ciò che fermerà Putin è “il mantenimento delle sanzioni, la sua punizione”. In molti vedono però il prossimo summit operativo della Nato, che si terrà in giugno a Madrid, troppo lontano.
La variabile adesso riguarda due fattori: l’uso delle armi chimiche da parte della Russia in Ucraina e la Cina. Sulla prima questione, Stoltenberg – il cui incarico ieri è stato prorogato di un anno, fino al settembre del 2023, per evitare cambi di leadership durante la crisi – ha detto che “qualsiasi uso di armi chimiche cambierebbe radicalmente la natura del conflitto”. Ci saranno conseguenze “gravi”, dicono i leader, ma non hanno specificato quali. Joe Biden, a una domanda sull’uso di armi chimiche da parte di Putin e un eventuale coinvolgimento della Nato, ha detto: “Risponderemmo se lo usasse”, ma “la natura della risposta dipenderebbe dalla natura dell’uso”. Anche Johnson, incalzato dai media, ieri ha evitato di annunciare una red line oltre la quale si renderebbe necessario l’intervento della Nato in Ucraina.
Uno degli aspetti centrali della riunione di oggi ha riguardato anche i rapporti tra la Cina e la Russia. Nel comunicato finale è emersa la “preoccupazione” degli stati membri “per i recenti commenti pubblici dei funzionari della Repubblica popolare cinese, e chiediamo alla Cina di cessare di amplificare le false narrazioni del Cremlino, in particolare sulla guerra e sulla Nato, e di promuovere una soluzione pacifica del conflitto”. Stoltenberg ha chiesto a Pechino “di unirsi al resto del mondo nel condannare l’invasione russa dell’Ucraina e di non fornire sostegno politico. E di non fornire alcun tipo di supporto materiale all’invasione”.