(foto EPA)

l'analisi

Le armi chimiche di Putin in Ucraina sono un rischio concreto

Enrico Pitzianti

L'avanzata dell'armata russa è in stallo, così Mosca potrebbe passare alle armi non convenzionali, come ha già fatto in Siria. Sarebbe un modo per costringere i civili ad arrendersi e mandare un messaggio alla comunità internazionale 

La portavoce del Cremlino Maria Zakharova, in una dichiarazione rilanciata a stretto giro da diverse ambasciate russe, già il nove marzo comunicava che il governo di Vladimir Putin sarebbe in possesso di documenti che provano la presenza di armi chimiche in dei laboratori ucraini. E che queste sarebbero state fabbricate con i fondi del dipartimento della difesa USA. Non ha fornito prove, né abbiamo elementi per credere che Zakharova dica il vero, ma è un campanello d’allarme: potrebbe voler dire che Putin sta cercando una scusa per usare delle armi chimiche per primo, così poi da poter scaricare le responsabilità sull’esercito ucraino

C’è un altro dato che aumenta le possibilità che dal Cremlino arrivi l’ordine di usare armi chimiche: lo stallo. Più a lungo l'avanzata dell’esercito russo è bloccata - e lo è ormai da oltre una settimana - maggiore è la possibilità che Vladimir Putin prenda in considerazione di intraprendere azioni drastiche. La logica è semplice: se stai vincendo una battaglia con armi convenzionali non hai alcun motivo per usarne di chimiche, batteriologiche o nucleari. Ma se stai perdendo è il contrario, e alzare il tiro diventa l’unico modo per non perdere.

Il rischio che in Ucraina vengano usate armi chimiche viene anche dalla recente esperienza dei militari russi in Siria. L’attuale ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, è lo stesso che ha supportato - e in alcuni casi coordinato e riorganizzato - le truppe dell’esercito regolare siriano durante la guerra civile. A marzo del 2017, per esempio, a sud della cittadina di Lataminah fu usato il gas sarin. È un gas nervino classificato come arma di distruzione di massa che colpisce indiscriminatamente, non ha odore né colore, ma interrompe le sinapsi che controllano la muscolatura volontaria e impedisce di respirare. Si muore soffocati tra gli spasmi e le convulsioni.

A Lataminah a distanza di poche ore fu colpito anche l’ospedale, anche lì furono usate armi chimiche, nel caso specifico il cloro. Quello dell’esercito siriano con il supporto russo era un uso “strategico” delle armi chimiche: non venivano usate per battere uno schieramento dei ribelli o per ottenere un vantaggio militare in una zona specifica, servivano semmai appositamente per spaventare la popolazione e fare in modo che lasciasse in massa le zone controllate dai ribelli. Funzionò, e Bashar al Assad rimase al potere, regalando al Cremlino un alleato così fedele che oggi migliaia di militari siriani sono pronti ad affiancare le truppe russe in Ucraina.

A questo, in fin dei conti, servono le armi chimiche: terrorizzare i civili e piegarne la resistenza e il morale. In seconda battuta, poi, farne uso offre un vantaggio tattico: una città che si svuota in poco tempo permette di radere al suolo palazzi e interi quartieri con l’artiglieria pesante. Il meccanismo è simile a quello che l’esercito russo sta già usando con la città di Mariupol: lasciarla senz’acqua né cibo e riscaldamento, colpire palazzo dopo palazzo e non concedere corridoi umanitari sicuri, così che una singola città diventi un monito per le altre. Un esempio per dire: non combattete e scappate subito perché non saremo clementi con nessuno.

Non bisogna cadere nel tranello del “in guerra tutto è concesso”, perché non lo è. Le armi chimiche sono molto diverse da quelle convenzionali, sia per l’effetto che hanno sul campo sia per il messaggio che mandano, che non è rivolto soltanto all’esercito avversario, ma alla comunità internazionale.

La caratteristica più importante delle armi chimiche, oltre alla sofferenza che causano, è che colpiscono in modo indiscriminato chiunque si trovi nell’ampio raggio d’azione: che siano militari, bambini o volontari della Croce Rossa.

La seconda è che, anche in quantità molto ridotte, possono fare danni enormi. Un attacco chimico come quello di Ghūṭa (sempre in Siria) fece migliaia di morti. Lo stesso accadde col massacro di Halabja, nel Kurdistan iracheno, considerato il peggiore della storia recente, dove per mano dell’esercito di Saddam Hussein morirono tra le tremila e le diecimila persone. Per la quasi totalità civili. Fu usato il cosiddetto “gas mostarda”, l’iprite, oltre a diversi agenti nervini. Ci sono molti altri motivi per cui le armi chimiche e batteriologiche sono peggio di quelle convenzionali, uno di questi è che la loro alta letalità le rende ideali per attacchi terroristici su larga scala e tentativi di genocidio, sia per mano di stati che da parte di gruppi terroristici, anche dei più piccoli. D’altronde bastano poche persone per avvelenare un acquedotto. 

È da quasi un secolo - dal Protocollo di Ginevra del 1925 - che la comunità internazionale fa degli sforzi perché si abbandonino le armi chimiche, e con un certo successo. Dopo la Convenzione di Parigi sulle armi chimiche del 1993, e l’inizio delle attività dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw), sarebbe stato distrutto il 90% di tutti gli arsenali. Il condizionale è d’obbligo perché ci sono sia delle eccezioni che diverse omissioni. Un’eccezione è, per esempio, la Corea del Nord che non ha mai aderito ad alcuna convenzione. Le omissioni sono però decisamente più attuali: nella recente guerra civile la Siria ha dimostrato di avere ancora armi chimiche a disposizione, e la Russia non è da meno.

Il sistematico avvelenamento di oppositori russi dimostra che i laboratori di Mosca producono ancora gas nervini e, soprattutto, che Vladimir Putin è disposto a usarli. Alexei Navalny è stato avvelenato con il novichok, e lo stesso agente nervino è stato usato in Inghilterra dai servizi russi su Sergei Skripal e sua figlia Yulia. Potremmo averlo dimenticato, ma Mosca di recente ha usato anche il polonio 210, materiale rarissimo e altamente radioattivo, per uccidere Alexander Litvinenko. Sono armi chimiche che mandano messaggi in due direzioni: terrorizzare chi si oppone a Putin e ricordare alla comunità internazionale che Putin, come molti dittatori, pensa di essere superiore a qualsiasi convenzione o accordo internazionale. Il presidente Barack Obama all’inizio della guerra civile siriana disse che l’uso di armi chimiche era una “linea rossa” oltre la quale avrebbe considerato l’intervento militare. Non lo fece, e forse è anche questo che ha convinto Putin di poter minacciare il mondo.

Di più su questi argomenti: