Memorie necessarie
La lotta degli ucraini suona la sveglia per l'occidente
Il punto a cui siamo arrivati oggi è espressione di un periodo di resa, un’epoca di quattordici lunghi anni trascorsi tra l'irenismo e il “leading from behind” di Obama e la fascinazione e soggezione autocratica di Trump. E' ora di rialzarsi e di reagire
Madeleine Albright, braccio destro di Clinton in politica estera, una che ha messo fine a una guerra da centomila morti nei Balcani, prima di morire aveva lucidamente analizzato la deriva tragica cui assistiamo, e il giorno precedente all’invasione di Putin il New York Times aveva pubblicato la sua testimonianza. Il suo linguaggio caloroso ma penetrante ci ricorda qualcosa di importante sugli ultimi trent’anni o giù di lì dalla caduta del Muro di Berlino, cioè sulle cause della grande crisi mondiale che abbiamo davanti agli occhi. Dal 1989 al 2008 l’occidente ha padroneggiato le cose e ha trasformato la caduta dell’impero sovietico e del comunismo blindato in una grande occasione per il mondo, chiamatela globalizzazione o come altrimenti volete. La fine di una storia, quella del totalitarismo e dell’equilibrio del terrore o Guerra fredda, per circa vent’anni è stata guidata da classi dirigenti che sapevano quello che facevano e esprimevano una forza egemonica sicura di sé (Bush padre, Clinton, Bush figlio). Non fu una appendice del colonialismo né un’estensione abusiva del potere americano nel mondo. E’ stata un’epoca piena di contraddizioni, il processo di liberazione e democratizzazione nella sicurezza e nella pace generale non ha cancellato squilibri e violenze, cecità e avidità, non è stato un paradiso da fine della storia, ma di “una” storia sì. Con quei presidenti e le classi dirigenti loro alleate nella tutela dell’Europa centrale e dell’est uscita dalla dominazione sovietica, non sarebbe mai stata immaginabile l’avventura di Putin, che guadagna il potere a Mosca alla fine di quell’epoca, non avremmo assistito a questa e alle sue molte altre avventure, dalla Georgia alla Siria al Donbas alla Crimea eccetera, tutte sotto il segno tragico della brutalità e della unilateralità.
Quando guardiamo la fotografia dei capi della Nato oggi, in un certo senso festeggiamo nella tristezza, pensiamo che è in atto un riscatto politico, una presa di coscienza e una affermazione di verità di fronte a un espansionismo armato arrogante e negatore di democrazia, indipendenza, libertà autodeterminazione. Giusto, e non è più complicato di così, con tutti i costi che questo comporta. Ma dobbiamo anche sapere che il punto a cui siamo arrivati, e dal quale è la resistenza degli ucraini a scuoterci, è espressione di un lungo periodo di resa a discrezione, un’epoca di quattordici lunghi anni (dal 2008 a oggi) in cui al “nuovo ordine mondiale” di Bush Sr., al “multilateralismo assertivo” di Clinton, all’unilateralismo di Bush Jr., Rumsfeld e Cheney dopo l’11 settembre, sono subentrati l’irenismo e il “leading from behind” di Obama, la fascinazione e soggezione autocratica di Trump e, da ultimo, la resa senza condizioni di Biden in Afghanistan. C’è una ragione se in questo tempo di bellurie, di moralismi strategici, di correttismo umanitario falso e di linee rosse fatte per essere varcate con prepotenza dal nemico, l’encefalogramma della Nato era diventato “piatto” (Macron) e la capacità di resistenza europea al ricatto energetico di Mosca, per non parlare della sicurezza e della tenuta politica dell’Unione, si era tanto indebolita in un tripudio di mercantilismo (Schröder, e il fallimento delle buone intenzioni di Merkel) e di divisione a fronte dell’avversario. Ora assistiamo a un tentativo forte e persuasivo di reazione. Bisogna passare oltre le recriminazioni e le discussioni storiche sulle cause. Però è bene capire che, quando devono decidere nuovi atti di deterrenza nelle sanzioni, negli armamenti e nel fronteggiare a ogni costo eventi che sono precipitati, le classi dirigenti dell’occidente devono lavorare contro Putin e il putinismo internazionale, e anche contro il se stesso di ieri e dell’altro ieri.