Kaliningrad, l'avamposto della paura. La guerra è qui
Dall’utopia di Kant all’incubo sovietico fino alla minaccia di Putin. Oggi è molto più che un attracco per le navi russe. Il Cremlino vi schiera almeno tre brigate d’élite completamente equipaggiate
In quel tempo si chiamavano Leningrado, Stalingrado, Gorkij. Poi è arrivata la perestrojka seguita dal collasso dell’impero sovietico e del comunismo. Il triangolo magico dell’occidente – libertà, capitalismo, democrazia – in Russia non s’è affermato. Però i nomi sono cambiati. Leningrado è tornata San Pietroburgo, Stalingrado una banale Volgograd, Gorkij di nuovo Nižnij Novgorod. Kaliningrad invece è rimasta come la volle Stalin. Incuneata tra la Polonia e la Lituania, un tempo parte della Prussia orientale, già fortezza dei Cavalieri teutonici e capitale della dinastia Hohenzollern, quando il 22 aprile 1724 vi nacque Immanuel Kant, era conosciuta come Königsberg; oggi è dedicata a Michail Ivanovicč Kalinin “il prestanome per la firma di tutti i decreti di Stalin”, parola di Nikita Sergeevicč Chrušcëv che lo conosceva bene. Una dimenticanza? Piuttosto un messaggio chiaro e forte, a lungo ignorato per superficialità, per quieto vivere, per colpevole miopia.
I nomi corrispondono alle cose in Russia forse più che altrove. E il fantasma del boia sovietico nel cuore dell’Europa diventa una minaccia militare più che mai ravvicinata grazie a un’arma potente, un missile in grado di scatenare l’olocausto nucleare, battezzato Iskander cioè Alessandro in lingua araba. Un altro gioco di parole per richiamare miti del passato e gettare un’ombra sul futuro. In una mano l’“eroe dell’Unione sovietica” che combatté con Lenin, massacrò per conto di Stalin e divenne primo presidente dell’Urss nonché burattino dello zar rosso. Nell’altra il giovane re macedone che ha trasformato la Grecia delle città stato in un impero, ha sconfitto l’invincibile Persia, ha toccato l’inviolata India, ha unito a fil di spada Europa e Asia. Kalinin e Alessandro congiunti nella folle ambizione di Zar Vlad.
I nomi corrispondono alle cose in Russia forse più che altrove. E il fantasma del boia sovietico nel cuore dell’Europa è una minaccia militare
Nel raccontare questo incubo fattosi realtà non sappiamo se cominciare dalla storia stravolta e piegata all’uso del dominio o dalla cronaca che essa ha generato. Facciamoci aiutare da un episodio personale che risale a qualche anno fa, grazie al quale ho capito quel che mi era sempre sfuggito, nascosto tra un velo ipotetico e le nebbie della memoria. Sapevo che Kaliningrad era una scheggia di Russia o meglio un frantume dell’Unione sovietica, mi ostinavo a chiamarla Königsberg, tuttavia la consideravo un residuo senza dubbio improprio, ma di scarsa importanza. E ritenevo frutto di retorica nazional-populista le grida di dolore sulla “diaspora russa” oppure la conclamata volontà moscovita di ricomporla con le buone o con le cattive. Un singolare incontro mi ha fatto aprire gli occhi. Ero in Svezia e una sera, a cena da amici durante le feste di Natale 2017, un ospite, un diplomatico, cominciò una lunga requisitoria sulla minaccia russa. Conoscendo l’inimicizia, la rivalità, spesso l’odio svedese verso la Russia, che dura da secoli fino a diventare sentimento popolare, pre politico (un tempo le mamme minacciavano i bambini evocando Ivan come da noi “l’uomo nero”), misi in dubbio che zar Putin avesse davvero in mente di attaccare la Svezia. C’era già stata l’annessione della Crimea, ma pensavo che le mire del Cremlino fossero concentrate sul Donbass e sull’accesso al Mar Nero. A quel punto il nostro commensale mi chiese se conoscevo Kaliningrad. “L’antica Königsberg”, risposi subito. E lui: “Quanto dista da qui?” (eravamo nel sud est lungo la costa baltica). Senza attendere diede egli stesso la risposta: “Sono 360 chilometri, c’è solo un ampio braccio di mare, una notte in traghetto”. Poi, rivolto all’intera tavolata: “E sapete che cos’è un Iskander?”. “Certo, è un missile”, lo interruppi. “E’ un sistema balistico ad alta precisione – precisò lui – i cui missili possono essere equipaggiati con testate sia convenzionali sia nucleari”. E con un sorriso di superiorità cominciò la sua requisitoria, meticoloso come solo un funzionario pubblico svedese è capace di essere.
L’Ucraina è l’anello della catena che arriva al Baltico. Nel 2008 Medvedev annunciò il progetto dei missili Iskander nell’oblast di Kaliningrad
La guerra in Ucraina, esordì, è solo l’ultimo anello della catena putiniana che arriva inevitabilmente sul mar Baltico. Nel novembre 2008 l’allora presidente Dmitry Medvedev durante il suo indirizzo annuale all’assemblea della Federazione russa annuncia per la prima volta in modo ufficiale il progetto di installare i missili tattici Iskander nell’oblast di Kaliningrad, tuttavia è ancora una minaccia per bloccare il sistema europeo di difesa con missili balistici. Il 17 settembre 2009 Barack Obama presidente degli Stati Uniti cancella il progetto americano che coinvolgeva la Polonia e la Repubblica ceca. A quel punto anche Mosca fa un passo indietro. Il 23 novembre 2011 Medvedev torna alla carica e sostiene che gli Iskander sono pronti a meno che Washington non rinunci del tutto a riformulare i piani per la difesa dell’Europa. Due anni dopo, nel dicembre 2013, Putin nega che gli eredi degli SS-20 siano stati già dispiegati, ma i media russi lo smentiscono. Alle manovre del dicembre 2014 e del marzo 2015, subito dopo l’annessione della Crimea, gli Iskander fanno bella mostra di sé montati su grandi camion, nei boschi attorno a Kaliningrad. L’8 ottobre 2016 arriva la conferma che sono ormai parte della routine, pienamente integrati, installati e ritirati numerose volte. Pochi giorni dopo il deputato Vladimir Shamanov presidente del comitato per la difesa e la sicurezza, conferma che il trasferimento a Kaliningrad del sistema missilistico chiamato Iskander-M rappresenta la risposta alle minacce potenziali della Nato. Una misura temporanea? Una sorta di gioco a rimpiattino con gli Stati Uniti e l’Europa? No, è una scelta diventata ormai definitiva, conclude il diplomatico svedese. Tornato a Roma leggo sui giornali che Shamanov ha confermato la presenza permanente di un numero non precisato di Iskander nell’area di Kaliningrad, mentre un’altra batteria viene dislocata nell’Ossezia del Nord per tenere a bada la Georgia e l’intero Caucaso ribelle fin dai tempo degli zar. Siamo nel febbraio 2018.
Oggi Kaliningrad è molto più che un attracco per le navi russe. Il Cremlino vi schiera almeno tre brigate d’élite completamente equipaggiate. Le forze meccanizzate sono sostenute da una brigata di artiglieria pesante. La base aerea 7054 ospita a turno circa cinquanta velivoli tra elicotteri pesanti e caccia. Poi ci sono gli Iskander in grado di raggiungere Stoccolma a nord, Berlino a ovest, Praga a sud. I russi hanno ormai in quell’enclave il meglio della loro attuale tecnologia militare: dagli S-400 Triumph ai missili balistici Iskander-M, sistemi integrati di difesa aerea e missilistica con radar di allarme precoce e battaglioni armati con missili terra aria. Qualora scoppiasse una crisi tra l’Europa e la Russia, Mosca potrebbe instaurare una no-fly zone tale da a coprire un terzo dello spazio aereo polacco. L’S-400 Triumph è stato progettato per neutralizzare velivoli da attacco, Awacs, missili da crociera e missili balistici a medio raggio, fino ad una distanza di 400 km ad un’altitudine di 30 km. La velocità massima utile per l’intercettazione è di 4,8 chilometri al secondo. Ogni batteria può attaccare più di una mezza dozzina di obiettivi simultaneamente, tracciandone 80. In questi anni le cose sono via via peggiorate. I russi hanno sviluppato ordigni ipersonici che secondo esperti occidentali sono difficili da intercettare, ma anche da guidare, mancano infatti di precisione. In ogni caso sono in grado di produrre sfracelli, come si vede in Ucraina. C’è poi il 9m729 che gli Stati Uniti hanno denunciato come violazione del Trattato Inf sui missili a medio raggio. Si tratta di un missile a media gittata, in grado di colpire fino a 2.500 chilometri. L’esercito russo è dotato di tre basi per armi atomiche: Rostov (a sudest) dell’Ucraina; San Pietroburgo (a nord) e, appunto, Kaliningrad. Dopo aver denunciato le continue violazioni del Cremlino, Donald Trump nel 2019 si è ritirato dal trattato Inf. Mosca ha le mani libere ammesso che prima le avesse davvero legate. E la Nato non è in grado di sapere se gli ordigni per Armageddon sono già in quella fortezza sul mare dove il suo figlio più luminoso sognava il cosmopolitismo, un governo mondiale e la pace universale.
Quando alla Conferenza di Teheran il primo dicembre 1943 Stalin chiese e ottenne da Stati Uniti e Gran Bretagna il possesso di Königsberg, promise sapendo di mentire: “Un porto che non geli d’inverno sul Mar Baltico è la nostra unica rivendicazione territoriale”. La conquista della città e di tutta la Prussia orientale avvenne nei primi mesi del 1945. Kaliningrad nacque nel 1946 sulle macerie e sulla deportazione. Nel 1939 c’erano poco meno di 400 mila abitanti prussiani, polacchi, lituani, ebrei, oggi sono poco più di 400 mila quasi tutti russi. Occupazione militare, pulizia etnica, cancellazione della storia rimpiazzata da compiacenti leggende, militarizzazione: è il filo che lega ovunque l’imperialismo russo dagli zar a Putin passando per Stalin; un filo rosso sangue. Dopo la fine dell’Urss e lo scioglimento del patto di Varsavia, la Germania in via di riunificazione evitò di sollevare rivendicazioni territoriali che potessero rievocare le tragedie del Novecento, Helmut Kohl mise a tacere ogni nazionalismo nostalgico accettando l’Oder-Neisse come frontiera con la Polonia, Breslavia e Stettino restarono polacche, e nessuno pensò più a quella freccia velenosa conficcata nel fianco nordest. Eppure c’era stato il corridoio di Danzica che aveva eccitato Adolf Hitler e Kaliningrad minacciava di diventare la Danzica del Duemila. Oggi c’è da chiedersi come mai dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia non venne discussa quanto meno una smilitarizzazione. I russi piagnucolano sul loro destino e lamentano di essere stati umiliati, maltrattati, isolati, la realtà è che l’Occidente li ha aiutati a risorgere minacciosi come non mai: hanno più testate nucleari degli Stati Uniti, grandi quantità di dollari, euro, sterline, yen, sono affluite nei forzieri moscoviti, paesi come l’Italia e la Germania hanno venduto la loro sovranità energetica al mercato del gas, né i confini né i territori occupati sono stati rimessi in discussione dall’odiata Nato.
Il sogno kantiano s’è trasformato in un incubo a Königsberg, anche se la città ha sempre avuto un destino di ferro e di fuoco. Al ritorno dalle crociate gli ordini cavallereschi nati in Terra Santa chiesero e ottennero possedimenti e benefici da Papi, re, imperatori: i Templari in Francia, gli Ospitalieri a Rodi, a Malta, a Roma, nelle terre baltiche finirono i Portaspada poi confluiti nell’Ordine livoniano di Riga, una costola dei Cavalieri Teutonici ai quali il Sacro romano impero aveva destinato la lontana, povera e periferica Prussia orientale. Qui diffondono il cristianesimo tra le tribù pagane spesso a suon di spada (una vera crociata nordica) e, mettendo insieme alcuni villaggi, fondano Königsberg, il monte del re, dedicato a Ottocaro II di Boemia. E’ il 1255, due anni dopo vengono eretti i primi edifici in muratura. L’ordine crea una sorta di stato teocratico, guidato da monaci-guerrieri (o viceversa) ed entra a far parte della Lega anseatica formata dalle principali città libere tedesche. Nella cattedrale in stile gotico baltico costruita sull’isolotto del fiume Pregel, chiamato Kneiphof, batte il cuore della città difesa da tre castelli e possenti mura. Nel 1525 Alberto di Prussia ultimo gran maestro dell’ordine fonda un ducato a lungo vassallo della potente Polonia. Finché Federico di Hohenzollern nato a Königsberg, principe elettore del Brandeburgo e duca di Prussia, nel 1701 viene proclamato re. Sarà conosciuto come Federico il Grande e getterà le basi di una potenza che ha segnato la Germania unificata nel 1870 sotto l’usbergo prussiano, l’Europa e il mondo intero. Una storia tragica in parte cancellata e riscritta a Kaliningrad.
La torre, rimasta in piedi, venne fatta crollare nel 1959, finché nel 1968 Leonid Bréznev decise di demolire quel “simulacro del militarismo prussiano”
Dresda venne ricostruita com’era o quasi dalla Germania comunista, Königsberg è stata russificata anche nelle sue strutture architettoniche. Il castello o palazzo reale, danneggiato fortemente dalle bombe della Raf durante la Seconda guerra mondiale, è restato a lungo in rovina, una sorta di memento mori. La torre, rimasta in piedi, venne fatta crollare nel 1959, finché nel 1968 Leonid Bréžnev decise di demolire quel “simulacro del militarismo prussiano” (così disse) per costruire al suo posto una Casa dei soviet. Anche questo imponente edificio in stile razionalista è rimasto incompiuto proprio come il socialismo, ma troneggia ancora sulla città, a ricordare “l’internazionalismo proletario”. La costruzione venne bloccata perché il progetto non aveva tenuto conto a sufficienza di seri problemi strutturali. Erano gli anni ’80, guarda caso, quando l’intero edificio sovietico stava vacillando. Ironie della storia e dell’architettura. La Casa doveva essere demolita, ma in pieno putinismo ci hanno ripensato, questione di soldi o di volontà? Oggi s’affaccia ancora sulla piazza principale un tempo cortile del castello. Dal passato riaffiorano alcune parti vicino alla cattedrale dove venne collocata la tomba di Kant. Nemmeno essa ha trovato pace tra i tormenti della rivoluzione socialista. Kneiphof trasformato in un parco è stato rinominato Isola di Kant, ma per restaurare la chiesa ci sono voluti i marchi tedeschi a partire dal 1994. Come ricordo è stata collocata all’ingresso una foto di Putin e Gerhard Schröder il cancelliere socialdemocratico al quale il nuovo zar deve il cappio di gas al collo della Germania. Una volta sconfitto da Angela Merkel è stato assunto da Gazprom come consulente e ora Schröder presiede la Rosneft guidata da Igor’ Sečin ex spia del Kgb. A confronto, i putiniani d’Italia hanno ottenuto solo strapuntini anche se hanno inferto altrettanto male al loro paese. Di Kant è rimasto il celebre epitaffio inciso nella pietra: il cielo stellato sopra di me, la legge morale sopra di me. Chissà se fra due anni, il 22 aprile 2024, vi sarà celebrato il trecentesimo anniversario della nascita del grande filosofo. E chissà se Kaliningrad si chiamerà di nuovo Königsberg. Per ora il cielo è percorso da scie di fuoco e la legge morale viene calpestata nel sangue.