La dipendenza dal gas e la Novorossiya terrorizzano la Moldavia
I due fronti aperti di Chisinau: quello energetico e il futuro della regione separatista della Transnistria. La crisi dei rifugiati e le spese inadeguate in difesa
Chisinau - Nel palazzetto dello sport di Manej, periferia orientale di Chisinau, in uno dei tanti centri allestiti nella capitale dal governo moldavo per affrontare la crisi umanitaria legata alla guerra in Ucraina, sono ospitati più di quattrocento rifugiati. Le brandine sono disposte al centro della sala, mentre sulla pista d’atletica, tutto intorno, è un susseguirsi di materassi, bagagli, biancheria stesa sull’asticella del salto in alto. Dai posti di frontiera di Palanca, di Tudora, di Otaci, sono arrivati in Moldavia quasi quattrocentomila profughi dall’inizio dell’invasione russa, centomila dei quali destinati a rimanerci. Si tratta di un numero enorme, specie per un paese di poco più di due milioni e mezzo di abitanti e con una delle economie meno sviluppate del continente.
Sinora la Moldavia ha risposto con una straordinaria mobilitazione della società civile, ma la situazione umanitaria resta al limite del collasso. Gli arrivi non si fermano. Odessa è a due ore e mezzo di macchina da Chisinau e per tutta la popolazione ucraina che si trova sulle coste del mar Nero e del mar d’Azov (fra cui Mariupol) è quello con la Moldavia il confine di riferimento. Anche per questo la presidente Maia Sandu, convinta che i numeri possano ancora salire, ha ripetutamente chiesto l'aiuto della comunità internazionale: gli Stati Uniti hanno risposto con un piano da 30 milioni di dollari, mentre si attende di conoscere i dettagli relativi al finanziamento da 90 milioni di euro annunciato dall’Unione europea.
Quello umanitario non è però l'unico fronte aperto in Moldavia dalla guerra. L’invasione dell'Ucraina pone infatti l’accento in maniera forte su due elementi cruciali per il futuro moldavo: la dipendenza dal gas russo e il futuro della regione separatista della Transnistria. Sul fronte energetico si gioca una grande fetta della partita geopolitica europea, con la Russia che già l’ottobre scorso forzò il governo di Chisinau a dichiarare lo stato di emergenza. Gazprom, compagnia statale russa che fornisce il 100 per cento del gas alla Moldavia, ha di fatto obbligato il governo locale ad accettare un contratto di fornitura con prezzi triplicati rispetto all’accordo precedente, minacciando di bloccare i flussi in caso di mancato pagamento. La situazione ha messo il paese di fronte alla sua più grande vulnerabilità: la totale subordinazione alla Russia sul piano energetico, attraverso cui il Cremlino può garantirsi una costante pressione politica.
Anche a partire da rapporti di forza del tutto sbilanciati monta nel paese il timore che Putin possa portare avanti il progetto Novorossiya, che prevede una serie di conquiste territoriali per ridisegnare una mappa dei confini che ricalchi le conquiste delI’Impero russo alla fine del XVIII secolo. Lo sbarco sul territorio moldavo avrebbe inoltre un valore altamente strategico per l’esercito di Mosca, che potrebbe puntare verso nord collegando la regione del Donbas attraverso Kherson in Ucraina, con Mykolaiv, Odessa e la Transnistria, dove sono di stanza millecinquecento soldati russi e sul cui territorio si trova, nel villaggio di Cobasna, uno dei più grandi depositi di armi d’Europa.
“Siamo in tanti a credere che possa essere il turno del nostro paese. Magari non subito, forse fra uno o due anni, ma un eventuale successo su larga scala della campagna militare lanciata da Vladimir Putin in Ucraina porterebbe, molto probabilmente, a un’escalation anche in Moldavia – spiega Grigorev Alexandru, docente al dipartimento di Relazioni internazionali dell’Università statale di Chisinau – Saremmo infatti costretti, per poter mantenerci in vita come stato, a rinunciare a qualsiasi ambizione occidentale o europeista accettando, senza difenderci, un governo favorevole al Cremlino”.
La Moldavia è un paese costituzionalmente neutrale e per questo destina solo lo 0,4 per cento del suo pil alle spese per la difesa, potendo contare su un esercito di appena ottomila soldati e su diciottomila poliziotti. Numeri del tutto inadeguati per impostare una battaglia di resistenza militare in caso di attacco russo.
I conservatori inglesi