La grande e silenziosa fuga di cervelli dalla Russia di Putin

Luciano Capone

Nelle due settimane dopo la guerra oltre 200 mila persone hanno lasciato il paese. L'emigrazione di giovani qualificati aggraverà i due problemi strutturali dell'economia russa: dinamica demografica sfavorevole e produttività stagnante

Sono oltre 3,7 milioni, secondo l’Unhcr, i rifugiati che hanno lasciato l’Ucraina dopo l’inizio dell’invasione russa, prevalentemente accolti in Polonia (2,2 milioni). Ma l’inizio della guerra ha prodotto anche un’altra fuga, meno visibile e più silenziosa, che non riguarda il paese aggredito ma l’aggressore: sono le persone che scappano dalla Russia.

 

L’economista russo dell’Università di Chicago Konstantin Sonin, sulla base dei primi dati disponibili, ha stimato che solo dopo i primi dieci giorni di guerra oltre 200 mila russi hanno lasciato il proprio paese per andare in Armenia, Georgia, Israele, Kazakistan, Kirghizistan, Turchia, Serbia e altri paesi dove i collegamenti con la Russia non sono interrotti, o anche in paesi occidentali attraverso scali e triangolazioni. Si tratta, naturalmente, di un’emigrazione diversa rispetto a quella degli ucraini che fuggono dai bombardamenti e dalla morte, ma per certi versi è più significativa perché si tratta di persone che, all’opposto, hanno molto di più da perdere (casa, lavoro, risparmi), visto che con le sanzioni occidentali e i controlli russi sui capitali possono portarsi poco dietro. Nonostante questo, si lasciano tutto alle spalle perché evidentemente non vedono un buon futuro per la loro vita in Russia.

 

La guerra ha portato da un lato la repressione di Putin, che riduce gli spazi di libertà e i diritti civili per reprimere il dissenso politico, e dall’altro le pesanti sanzioni economiche occidentali che porteranno l’economia russa in recessione e verso un sentiero semi-autarchico. Se una parte della società russa ha reagito alla guerra di Putin attraverso le proteste, una parte maggiore ha reagito abbandonando il paese. L’opzione “voice” è stata più visibile e coperta dai media le immagini degli oltre 15 mila arresti dei manifestanti, mentre l’opzione “exit” sebbene più silenziosa ha coinvolto un numero 10-20 volte superiore di russi che sono andati all’estero. La cifra di 200 mila emigrati in due settimane è impressionante se si considera che dopo il collasso dell’Unione sovietica in due anni, dal 1992 al 1993, dalla Russia andarono via 1,2 milioni di persone.

 

Come nel caso di chi protesta in piazza, ad andare via sono prevalentemente giovani con un elevato livello di istruzione, cosa che abbasserà ulteriormente il potenziale di crescita russo. Si sta infatti parlando molto del blocco alle importazioni e alle esportazioni, della fuga dei capitali e della chiusura delle sedi delle multinazionali, ma poco attenzione è stata prestata alla fuga di cervelli e quindi all’enorme perdita di capitale umano che sta pagando la Russia e che avrà avere un effetto negativo strutturale sull’economia. L’Associazione russa per le comunicazioni elettroniche (Raec) stima che da fine febbraio già 50-70 mila specialisti informatici hanno lasciato il paese e prevede una seconda ondata di emigrazione di personale del settore IT, al momento fermata solo dagli elevati costi dei voli e dalla difficoltà a fare transazioni finanziarie, che ad aprile arriverà ad altre 70-100 mila unità.

 

La Russia è il secondo paese dell’Ocse, dopo la Corea del sud, per livello di istruzione superiore, con punte di eccellenza in fisica, ingegneria, matematica, chimica e robotica. Ha inoltre 679 mila addetti nel settore ricerca e sviluppo, la quarta forza lavoro al mondo dopo Stati Uniti, Cina e Giappone. Un paese povero dell’Asia centrale come il Kirghizistan, da cui storicamente emigra manodopera a basso costo verso la Russia, si sta attrezzando per accogliere e offrire posti di lavoro agli emigranti qualificati russi. Ma, naturalmente, chi lascia Mosca e San Pietroburgo come destinazione preferita non ha le città dell’Asia centrale, ma quelle occidentali: Londra, New York, Monaco, Parigi, Milano. Dove può trovare ciò che sempre più manca in Russia: diritti, libertà e benessere economico.

 

La perdita di capitale umano è uno choc negativo che andrà ad aggravare sia la dinamica demografica sfavorevole sia la produttività stagnante. In pratica i due più gravi problemi strutturali dell’economia russa, che non si è ancora del tutto ripresa dalla recessione del 2014-16, indotta anche dalle leggere sanzioni occidentali a seguito dell’annessione illegale della Crimea. Dopo l’invasione dell’Ucraina questa spirale negativa di recessione e sanzioni sarà amplificata rispetto al 2014. Putin sarà sicuramente concentrato sulla pessima prova che sta dando l’esercito di soldati in Ucraina, ma a preoccuparlo dovrebbe essere anche la defezione dell’esercito di cervelli. E l’occidente dovrebbe attrezzarsi per accogliere, oltre ai profughi ucraini, anche chi scappa dal regime di Putin.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali