La ritirata di Mosca

La Russia annuncia la fase due: la liberazione del Donbas. Kyiv ora chiede i carri armati alla Nato

Micol Flammini

I negoziati procedono, ma il ministro Kuleba si lamenta dell’ottimismo eccessivo della Turchia che fa da mediatrice. C’è un avvicinamento sulla neutralità, nessun accordo sulla demilitarizzazione e per la Crimea, Ankara propone il modello Hong Kong

Il ministero della Difesa russo ieri ha detto che la prima fase dell’operazione russa – tradotto: dell’invasione brutale dell’Ucraina  – si è conclusa e adesso l’esercito di Mosca è pronto a concentrarsi sulla liberazione completa della regione del Donbas. L’affermazione è suonata come una ritirata e un bluff, sicuramente il segnale del fatto che la Russia sta cercando il modo di uscire dallo stallo. Ieri è stato ucciso da un cecchino il settimo generale dell’esercito russo, arrivano voci non confermate di truppe che si ribellano ai comandanti: un colonnello sarebbe stato investito da un soldato con il carro armato come rappresaglia, e Kherson, l’unica grande città occupata, non è più interamente sotto il controllo russo. Mosca non aveva mai detto quali fossero gli obiettivi di questa “prima fase” e ieri il ministero della Difesa ha chiarito  che non c’è mai stata l’intenzione di prendere Kyiv o Kharkiv, ma che la decisione di attaccarle è stata strategica: aveva l’obiettivo di  tenere impegnate le forze ucraine in  tutta la nazione in modo che non potessero accorrere subito nel Donbas, dove la Russia, nel frattempo, continuava ad avanzare.

 

Ora, l’esercito ucraino sarebbe stato ridotto e Mosca è  libera di concentrarsi nel Donbas. La guerra sta cambiando, ma contrariamente a quanto dichiarato dal ministero della Difesa, dai tre generali disposti davanti alla mappa dell’Ucraina – il ministro Sergei Shoigu, ancora non si trova – le cose non vanno come previsto. Ora si cerca di mascherare il fallimento, anche dando un numero di morti falsato: 1.351, molto al di sotto dei dati forniti dall’Ucraina, dagli Stati Uniti e anche da quelli pubblicati  per errore sul sito della Komsomolskaya Pravda. La Russia  non intende uscire dalla guerra per via negoziale. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, continua a dire che è pronto a incontrare Vladimir Putin.  E se prima erano i russi a dire che i colloqui tra le delegazioni andavano bene, ora è proprio Mosca a dire che non c’è modo di capirsi.

 

Le delegazioni continuano a lavorare con l’aiuto della mediazione turca e israeliana, ma rimane un problema insormontabile: nessuno si fida delle promesse di Mosca. Ieri il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha polemizzato con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan che aveva detto che Kyiv e Mosca avrebbero potuto accordarsi su neutralità, russo come seconda lingua ufficiale, demilitarizzazione e sicurezza. Kuleba ha risposto che l’Ucraina non è pronta a cedere su nessuno di questi punti e l'idea di Kyiv è che l'ottimismo di Ankara danneggi i negoziati. Da quanto risulta al Foglio i progressi ci sono e riguardano soprattutto la neutralità  dell’Ucraina, che però vorrebbe delle certezze e delle garanzie granitiche per la protezione della sua sicurezza. C'è un punto su cui Kyiv però non può proprio cedere: la demilitarizzazione. La Russia vorrebbe che l’Ucraina riducesse il suo esercito a 50.000 unità. Dopo l’aggressione subita, per Kyiv è impossibile smettere di armarsi. Inoltre, la demilitarizzazione, secondo Mosca, riguarderebbe soltanto gli ucraini, non i russi. Come può Kyiv sentirsi al sicuro con un quinto del suo esercito, mentre di là dal confine la Russia non avrebbe vincoli e limiti?

 

L’Ucraina sarebbe anche disposta a parlare di confini – la Turchia propone per  la Crimea  uno status simile a quello di Hong Kong – ma vuole che prima la Russia si ritiri del tutto.  Kyiv ha già avuto le sue brutte esperienze riguardo alle promesse tradite: gli otto anni di guerra precedente sono costellati di cessate il fuoco non rispettati e la Russia che avrebbe dovuto ritirare tutti i suoi uomini dal Donbas, non lo ha mai fatto. La guerra va avanti, anche se sta cambiando e l’Ucraina pensa ancora alla sua sicurezza e ha chiesto alla Nato dei carri armati per passare a una fase di contrattacco.  Gli ucraini, sul campo di battaglia e nei negoziati, vogliono far capire che chi è con le spalle al muro, quindi chi deve cedere, sono i russi, non loro.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)