Immigrazione e Ue
Sui rifugiati Polonia e Ungheria non vogliono quote ma soldi
I paesi più sotto pressione stanno usando gli ucraini che scappano dalla guerra per forzare la mano sull’approvazione dei loro piani nazionali di ripresa e resilienza. E rifiutano un sistema di quote volontario o obbligatorio per timore di vederselo imporre in futuro
L’arrivo di 3,8 milioni di persone in fuga dalla guerra in Ucraina, lungi dallo spingere l’Unione europea verso un nuovo Patto su migrazione e asilo, rischia di portare allo smantellamento di quel poco di politica comune che c’era sui rifugiati e i migranti. La dimostrazione è arrivata dalla riunione straordinaria dei ministri dell’Interno dell’Ue di oggi. Invece di mettere in piedi un sistema di ridistribuzione (relocation) dei rifugiati per allentare la pressione sui paesi di primo ingresso, i ventisette hanno messo l’accento soprattutto sulla solidarietà finanziaria. Sono i paesi più sotto pressione – Polonia, Romania, Ungheria e Slovacchia – che rifiutano sistemi di quote obbligatorie o volontarie. Troppo alto il rischio di vedersele imporre in una crisi analoga a quella del 2015-16, quando chi sbarcava in Grecia o Italia aveva la pelle scura e una religione diversa. L’unica cosa che conta per alcuni di questi governi sono i soldi. Varsavia e Budapest stanno usando i rifugiati ucraini per forzare la mano alla Commissione sull’approvazione dei loro piani nazionali di ripresa e resilienza, bloccati dal bracci di ferro sullo stato di diritto.
L’Ue ha fornito un’accoglienza senza precedenti a chi fugge dalla guerra di Putin in Ucraina. I cittadini ucraini beneficiano del regime liberalizzato dei visti, che permette loro di circolare liberamente nell’Ue per un periodo di novanta giorni, senza presentare domanda d'asilo. Su proposta della Commissione i ventisette hanno attivato in tempi rapidissimi la direttiva sulla protezione temporanea, che consente agli ucraini di beneficiare automaticamente per tre anni non solo dell’asilo, ma anche di sussidi, scuola, sanità e permesso di lavoro. Non era mai successo dall’adozione della direttiva nel 2001 dopo le guerre dei Balcani. Secondo i dati dell’Unhcr, su 3,8 milioni di persone scappate dalla guerra dal 24 febbraio, 2,3 milioni sono entrate in Polonia, 600 mila in Romania, 354 mila in Ungheria e 275 in Slovacchia. Non ci sono paragoni con il flusso di meno di 2 milioni di rifugiati (in gran parte siriani) del biennio 2015-16, che avevano fatto tremare le fondamenta dell’Ue.
Eppure, dietro alla solidarietà europea, si nascondono problemi legati alla mancanza di una politica comune dell’Ue. La risposta emergenziale attuale può funzionare se la guerra sarà breve e i rifugiati torneranno rapidamente in Ucraina. Sui 3,8 milioni di ucraini arrivati nell’Ue, solo 800 mila hanno chiesto la protezione temporanea. Questo significa che tra 90 giorni, scaduto il periodo di permanenza senza visto, potrebbero ritrovarsi in situazione irregolare. I flussi diminuiscono (40 mila al giorno contro 200 mila al picco), ma servono “piani di emergenza” perché “dobbiamo prepararci a molti milioni che potrebbero essere costretti a scappare dall’Ucraina”, ha detto la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson. Più rifugiati arriveranno e più a lungo resteranno, più aumenterà la pressione sui paesi di accoglienza. Ieri il vicepresidente della Commissione ha detto che non c’è “bisogno di un sistema di relocation, perché le persone che arrivano si autoridistribuiranno”. Ma, se ci sarà troppa pressione, alcuni stati membri potrebbero rifiutare quelle che Schinas ha definito “auto relocation”.
“I paesi che li ricevono non chiedono delle politiche di relocation, ma aiuti finanziari e logistici”, ha spiegato il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin. La Polonia ha chiesto mille euro a rifugiato per sei mesi. La Commissione ha reso disponibili quasi 17 miliardi di euro, ma per Varsavia e Budapest non basta. Viktor Orbán ha scritto a Ursula von der Leyen esigendo di sbloccare i 7 miliardi del piano di Recovery. La Polonia ha fatto la stessa cosa per i suoi 35 miliardi, sostenendo che potrebbe spendere 11 miliardi solo nel 2022 per ospitare 3 milioni di rifugiati. Ma almeno un terzo degli ucraini che sono entrati nei loro territori è già partito verso altri paesi dell’Ue.