Il racconto
Che guerra s'aspetta l'americano che va a combattere con gli ucraini
La storia di un ex militare statunitente, volato in Ucraina per difendere il paese insieme al suo popolo. "Ma non odio i russi"
Przemyśl è una delle più antiche città della Polonia, a 15 km da Medyka, al confine con l’Ucraina, da dove in 40 minuti si arriva a Leopoli. Sulla strada c’è una lunga fila di automobili in uscita e di camion in entrata. Grazie a un amico che è andato a prenderlo all’aeroporto di Varsavia, e lo accompagnerà al confine, riesco a incontrare in una piccola taverna un grosso signore americano che andrà a combattere. E’ un ex militare, ancora abbastanza giovane e vestito con pantaloni a coste larghe di velluto chiaro e camicia azzurra. Da alcuni anni ha lasciato l’esercito (è stato, tra l’altro, in Iraq e in Afghanistan) per dedicarsi, col fratello, a una piccola azienda familiare nella costa orientale. Dice che va a combattere perché ha la moglie ucraina (nata in Canada) e i suoi figli parlano quella lingua. E’ molto critico verso le “brigate internazionali”: male organizzate, con difficoltà di comunicazione linguistiche, praticamente senza armi (“gli ucraini ne hanno già poche per loro e là sparano tutti”). Secondo lui, i volontari stranieri sono stati ammazzati già quasi tutti. Una quarantina di canadesi, alcuni di origine ucraina, qualche giorno fa.
L’americano è informatissimo. Come se fosse appena tornato da là. Mi spiega che l’esercito regolare ucraino è solo una parte dei combattenti. Ci sono anche tanti gruppi che fanno la guerra quasi per conto proprio, con un ventaglio di posizioni molto vario. Il problema principale delle autorità ucraine è organizzare e tenere assieme quelli che vogliono combattere. Gli ucraini, dice, sono tradizionalmente degli ottimi soldati. Erano la spina dorsale dell’Armata Rossa (l’Urss li mandò a farsi massacrare in Afghanistan): “Il problema dell’esercito russo adesso è di dover combattere senza ucraini contro gli ucraini!”. Non crede che la guerra sia scoppiata perché la Russia si sentiva accerchiata dalla Nato: “E’ una balla colossale alla quale non credono nemmeno loro. E’ una guerra di riconquista”. Una guerra difficile anche da fare e le grandi potenze non possono mettere in campo tutto il loro potenziale, anche soltanto strategico: “Quando ci ficcammo in quella brutta storia (la chiama “dirty history”) del Vietnam, non potevamo bombardare sopra il 38° parallelo: era come avere un braccio legato dietro la schiena. E oggi, con tutti i cellulari accesi, i massacri dei civili li vedono in diretta in tutto il mondo, compreso casa tua”.
L’americano sa dove e con chi andare in Ucraina. Si è organizzato per tempo. E’ convinto che la guerra sarà lunga, a un certo punto diventerà a “bassa intensità” (il che non significa meno cruenta) come è stato per anni nel Donbas. Una guerra di posizione, casa per casa. Lui ha i contatti giusti, conosce quelli coi quali si affilierà, e conta di rimanere in Ucraina alcuni mesi. Sfacciatamente gli chiedo se, oltre al fatto di avere una moglie ucraina, lo faccia per soldi. Non riesco a immaginare che, per degli ideali che non sono comunque i suoi, abbia attraversato l’Atlantico per venire a rischiare di farsi ammazzare qui in Europa. Non lo interessa la politica. Odia così tanto i russi? Scuote la testa. Dice di voler soltanto difendere il popolo ucraino.
Chissà come sono quelli che combattono di là dal confine? In questo momento in Ucraina combattono tutti. Un giornalista polacco appena tornato da Leopoli mi racconta che anche i passanti, in abiti civili, ti chiedono chi sei, che fai, perché sei lì? Uomini e donne (che non hanno bambini piccoli) fanno parte della difesa territoriale. Hanno poche armi, pochi giubbotti antiproiettile e caschi. Le armi moderne stanno al fronte. In città ci si arrangia a costruire barricate, scavare trincee e passaggi, confezionare centinaia di bottiglie molotov.