L'ultima pagina di Novaya Gazeta, l'ora di ballare “Il lago dei cigni”
Il periodico russo fondato da Gorbaciov ha sospeso le pubblicazioni a causa della censura di Putin. Il balletto di Ciajkovski dice che è tempo di lutto, di un dolore che però non è vano
Il periodico russo Novaya Gazeta fu fondato nel 1993 da Mikhail Gorbaciov e diretto, tutt’ora, da Dmitrij Muratov. Sin dalle prime pubblicazioni Novaya Gazeta ha offerto inchieste coraggiose su tematiche scottanti della storia contemporanea russa. “È necessario sospendere le pubblicazioni – ha scritto Muratov ai lettori – questa è una decisione terribile e dolorosa, ma dobbiamo proteggerci a vicenda”. Dietro questa campagna di ammutinamento e pieno controllo dei mezzi di comunicazione c’è Vladimir Putin con Roskomnadzor, suo braccio operativo, che spaccia per vero il falso e bolla il vero come “fejk”. Il 9 marzo proprio Novaya Gazeta aveva denunciato sulle sue pagine la chiusura del canale televisivo indipendente Dozhd, titolando: “È ora di ballare ‘Il lago dei cigni’”, riprendendo la scelta della redazione di accomiatarsi dai suoi telespettatori mandando in onda il balletto di Ciajkovskij, perché “i russi lo sanno: quando vedono ‘Il lago dei cigni’ in tv significa lutto”.
L’ultima volta l’avevano ascoltato nel 1991 trasmesso dalla tv sovietica mentre scorrevano le immagini del tentato golpe contro Gorbaciov. Ora accompagna il dolore di una guerra spietata.
Profondamente cupa anche la trama dell’opera. La principessa Odette è vittima di un sortilegio del mago Rothbart, a cui la donna ha negato il suo amore: tutte le ore del giorno Odette avrà le sembianze di un cigno bianco. La maledizione potrà essere sconfitta soltanto da un giuramento d’amore, quello che fa il principe Sigfrid promettendo di salvarla. A una festa nella reggia di Sigfrid il mago presenta sua figlia che ha assunto le sembianze di Odette al principe che, convinto di trovarsi al cospetto della sua amata, le giura eterno amore. A quel punto il mago rivela la vera identità della fanciulla e Odette scompare nelle acque del lago. Sigfrid, disperato, decide di seguirla: è proprio questo suo gesto a rompere l’incantesimo consentendo ai due giovani innamorati di vivere in una apoteosi celestiale.
Nel “Lago dei cigni” vita e non vita sono dipendenti; la morte ha una funzione curativa e riabilitativa, il sacrificio di pochi è in grado di ricreare una sorta di espiazione collettiva. Un messaggio che ricorda l’insegnamento evangelico “se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Il regista Xavier Beauvois ne aveva colto il significato tanto da usarlo nel 2010 in una delle scene più toccanti del film “Uomini di Dio”. La storia (vera) è quella di un gruppo di monaci in Algeria che vivono in pace con il popolo musulmano e vengono trucidati per cause ancora poco chiare. In una scena del film, la sera prima del loro rapimento, la comunità monastica si ritrova a cena e il più anziano accende una vecchia radio, che riproduce proprio “Il lago dei cigni”. È la colonna sonora che prelude a una carneficina di cui quegli uomini sono vittime consapevoli. Bevono e mangiano lieti, insieme con le note travolgenti degli ottoni e dei violini di Ciajkovskij. Perché “Il lago dei cigni” dice che è tempo di lutto, è tempo di un dolore che non è vano.
Dalle piazze ai palazzi