Il mediatore francese
Putin vuole la resa di Mariupol. Lo dice a Macron, che con la sua diplomazia irrita un po' tutti
Volodymyr Zelensky pensa che il capo dell'Eliseo abbia timore dei russi. La storia di 18 telefonate
Ieri Emmanuel Macron, presidente francese, ha avuto un’altra conversazione telefonica con Vladimir Putin. Il presidente russo ha detto che i “nazionalisti” ucraini devono deporre le armi a Mariupol, cioè arrendersi e consegnare la città ai russi, che in questo modo potrebbero collegare la Crimea al Donbas: era l’obiettivo delle operazioni del 2014, e non era stato raggiunto. Oggi le bombe, l’assedio, la fame e le deportazioni, potrebbero invece consegnare a Mosca il risultato. Nella conversazione si è parlato anche di corridoi umanitari, che finora non sono mai stati garantiti dai russi nonostante le promesse (esistono corridoi solo per le deportazioni verso il territorio russo), e del pagamento in rubli del petrolio russo, cosa che i partner occidentali hanno già escluso. Secondo l’Eliseo.
Negli ultimi quattro mesi, Macron ha sentito Putin al telefono diciotto volte e ha avuto un incontro con il presidente russo (quello del tavolone lungo e del test Covid rifiutato: a giudicare dalle nuove indicazioni date ai negoziatori ucraini dal governo, non bevete e non mangiate niente quando incontrate i russi, non era stata poi una decisione così sbagliata). La sintesi di questi incontri è sempre stata: è dura, Putin non si ferma. Nello stesso periodo, Macron ha sentito Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, 25 volte, si è coordinato con gli alleati occidentali in molte conversazioni, ancora ieri prima di richiamare Putin. Roger Cohen, che sul New York Times ha scritto un’analisi molto condivisa e anche criticata, dice: “Se la diplomazia si misura in termini di perseveranza, Macron è un diplomatico sopraffino. Se si misura in termini di efficacia, il verdetto è per lui meno favorevole”. Il presidente francese si è intestato il ruolo del mediatore, e come tutti coloro che stanno in mezzo, rischia di scontentare l’una e l’altra parte. C’è chi dice che Macron non può risultare affidabile agli occhi di Putin, c’è chi dice che non può più essere credibile per gli ucraini: la questione riguarda il resto del mondo ma anche la Francia che si prepara al voto. In un’intervista all’Economist, lo stesso Zelensky ha detto che la Francia “ha paura della Russia, and that’s it”, così come vede nella posizione di Parigi la volontà di trovare comunque un modo per tenere aperto il dialogo con Mosca.
Macron ha cercato di smorzare le parole di Biden: non definirei Putin “un macellaio”, ha detto il presidente francese, che non condivide nemmeno l’idea bideniana secondo cui non è più data, nei consessi internazionali, una Russia guidata da Putin. Macron ne fa una questione geografica e strategica: la Russia è una minaccia esistenziale per l’Europa molto reale e vicina, e per questo è necessario investire su una difesa europea che sia autonoma ed efficace. E in questa ricerca di indipendenza strategica europea cerca di coordinarsi con Washington e con i partner dell’Ue. Ma Macron è stato anche tra i più propensi a fidarsi di Putin, a cadere in quella che continuiamo a chiamare, con benevolenza inspiegabile, l’illusione che il presidente russo possa essere un interlocutore quando si parla di sicurezza. Poco prima che iniziasse l’invasione dell’Ucraina, quando gli americani dicevano che era imminente ed erano trattati, proprio come voleva Mosca, come dei provocatori e dei guerrafondai, Macron pensava che Putin potesse essere convinto a non sferrare alcun attacco. E’ stato sbugiardato quasi in diretta. Oggi dice che un’operazione umanitaria a Mariupol non è mai stata possibile.
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