Senza i social occidentali la propaganda russa ha qualche problema
La Russia cerca di copiare le piattaforme americane, ma con scarso successo. E Russia Today, uno tra i principali diffusori di fake news e propaganda putiniana, senza YouTube è come se non esistesse
Nel 2013 un canale di una testata giornalistica superò per la prima volta il miliardo di visualizzazioni su YouTube. Per festeggiare, preparò un video commemorativo delle sue trasmissioni di maggior successo, intervistando persino un dirigente di Google (società che ha la proprietà di YouTube, oggi entrambe sono sotto il controllo dell’azienda-ombrello Alphabet).
A quasi dieci anni di distanza da quel giorno il nome della testata giornalistica in questione potrebbe stupire: era Rt, ovvero Russia Today, un media di proprietà del Cremlino che da anni diffonde fake news e propaganda putiniana e che è stato bandito da molte piattaforme questo mese, dopo l’invasione russa dell’Ucraina. In gergo, questo genere di atto da parte di diversi siti è detto “deplatforming”, un processo con cui si blocca l’accesso a un individuo o una società alle piattaforme digitali (è quello che è successo a Donald Trump dopo l’attacco al Campidoglio 2021, per esempio). Rt è stato uno dei molti prodotti russi che ha subìto questa sorte nelle ultime settimane; e ora, come vedremo, sta cercando di rilanciarsi in modi alternativi.
Prima di questo gramo destino, però, Rt è stato per anni un canale controverso e di enorme successo: il rapporto tra il media russo e YouTube, in particolare, era già stato criticato dopo la vittoria di Trump alle elezioni e il conseguente dibattito sulla fake news. “Youtube – scrisse il New York Times nel 2017 – ha giocato un ruolo cruciale nell’aiutare a costruire ed espandere Rt, un’organizzazione che l’intelligence americana ha descritto come ‘la principale emittente internazionale di propaganda’ del Cremlino”. Non è stata quindi la guerra in Ucraina a cambiare le cose: Rt è la punta di diamante di un network di canali, emittenti e profili che per anni hanno lavorato – e guadagnato – indisturbati nel campo della disinformazione.
Dopo il deplatforming, Rt ha dovuto cercare alternative, trovandole in piattaforme di nicchia come Rumble e Gab. Il primo è un sito di video sharing – una specie di anti YouTube – che da tempo piace molto anche alla destra americana e che ospita il talk show di Dan Bongino, commentatore molto vicino a Trump e dalla forte presenza sui social (specie Facebook), oltre che i video di David Nunes, ex deputato repubblicano passato a lavorare per il Trump Media & Technology Group, l’azienda che dovrebbe creare un impero mediatico targato “The Donald”. Rieccoli, i trumpiani e i putiniani, ancora una volta vicini. Quanto a Gab, è un social network di estrema destra che da tempo rincorre il sogno di convincere Trump ad iscriversi, dando all’ex presidente un’alternativa a Twitter, da cui è stato bandito a vita. Finora non ci è riuscito.
Sarà per questo che la Russia sta cercando di fare da sé, puntando su servizi locali come RuTube, clone di YouTube fondato nel 2006, dove una recente diretta di Rt ha raggiunto appena 20 persone. La nostaglia per i social media dell’odiato occidente deve farsi sentire parecchio, da queste parti, visto che in questi giorni è stato presentato Rossgram, un servizio sospettosamente simile a Instagram che vanta “server e data center localizzati in Russia”, oltre che modi per monetizzare i propri contenuti. Non solo Rt, insomma. Anche gli influencer russi devono uscire dal pantano in cui sono finiti nelle ultime settimane, da quando il blocco dei servizi di Meta (e quindi anche Instagram) ha di fatto tolto lo strumento principale di sussistenza a molti creator digitali.
La questione ucraina sta anche portando a un assestamento tra i giganti digitali che da tempo caratterizzano il panorama russo, come dimostra il fatto che Yandex – azienda spesso detta “la Google della Russia” – stia cercando di vendere la sua divisione che si occupa di notizie. In particolare, l’aggregatore di notizie Yandex News e Yandex Zen, una piattaforma per il blogging, che dovrebbero passare a VKontakte, il principale social network russo. Il tutto mentre il paese sta subendo un “esodo di lavoratori del campo tecnologico”, come scrive Wired.