La resistenza delle biciclette d'Ucraina
Dalla guerra nel Donbas del 2014 le bici in Ucraina erano aumentate. "Ogni anno gli versavamo due miliardi di dollari per il petrolio. Scelsi di pedalare perché non volevo finanziare chi poi ha iniziato a sterminarci", ci dice un cicloattivista ucraino. “La bici è un simbolo europeo"
Sono attrici non protagoniste di questa guerra in Ucraina, le biciclette. Sono state fotografate a terra accanto ai cadaveri di Bucha, sotto ragazze e ragazzi che si muovevano tra le buche di missili e bombe che avevano sventrato palazzi e strade, accanto a chi fuggiva e si afferrava a loro come se fossero un filo che li teneva legati alla loro terra.
C’erano nel frastuono della guerra fatto di esplosioni, grida, sirene di allarme. Pensare di attraversare una guerra, di muoversi in una guerra, su di un mezzo che al massimo emette un tintinnio di catena e un fruscio di ruote di qualche centimetro sull’asfalto è un atto di disobbedienza verso tutto quello che c’è attorno. Una resistenza alternativa all’obbrobrio della guerra.
“La bicicletta è stata protagonista in tante resistenze, anche da voi in Italia. Lo è diventata anche qui, una resistenza contro l’arroganza russa. Una resistenza iniziata ben prima dell’invasione recente, ma da quando avevamo capito, nel 2014, che la Russia era un grosso pericolo”, dice al Foglio Dmytro. Nel 2014 aveva vent’anni e non sapeva quasi pedalare. “Imparai in fretta. Era una scelta di campo. Da una parte c’era il mondo russo e dall’altra l’occidente. La Russia aveva dimostrato di volere i nostri territori e noi ogni anno gli versavamo due miliardi di dollari per il petrolio. Scelsi la bicicletta perché non volevo finanziare chi poi ha iniziato a sterminarci”.
Nei primi giorni dell’invasione russa in Ucraina ebbe un discreto rilievo mediatico un video che ritraeva un ciclista che faceva marcia indietro alla vista dei carri armati russi.
Al solito quando ci sono di mezzo i ciclisti, quelli in tutina e biciclette da corsa, gli utenti dei social network danno del loro meglio. C’era chi sottolineava che nemmeno in Ucraina e con una guerra in corso i ciclisti riuscissero a tenere la destra e, com’è norma dei cretini del commento facile, auspicava l’arrivo di una auto russa che lo mandasse al camposanto; chi deprecava la scelta di pedalare mentre tutto attorno si combatteva. C’era anche chi in queste immagini trovava un motivo di speranza. “Non tutti gli ucraini hanno imbracciato i fucili. C’è chi vorrebbe e non può farlo; chi è disposto a difendere il paese dagli invasori ma trova un modo per difenderlo senza una pistola o un mitra, come me per esempio che uso le mie armi e le mie armi sono tutte in un laptop; chi non può farlo e basta. E c’è chi cerca in questa maledettissima situazione qualche momento di normalità. Ne hanno diritto, no? La bici è questa normalità che sembra essersi estinta in buona parte dell’Ucraina”.
Ne giravano poche di biciclette nelle città in Ucraina prima della prima guerra nel Donbas del 2014. “Era un mezzo per poveri e la gente voleva starsene lontana dalla povertà”. Poi sono aumentate. “E parecchio. Nelle città di bici in giro non se ne scorgevano molte. Negli ultimi anni invece se ne vedono. E anche fuori città sono tornate a muoversi, ad attraversare le colline e le pianure. La bicicletta è iniziata a diventare per una parte dei giovani soprattutto un modello per dire no all’imperialismo di Putin. Era come dire: ‘Io pedalo, del tuo sporco schifoso petrolio non me ne faccio niente’. C’entra niente l’ambientalismo, è un battaglia culturale”.
La bicicletta era un ponte verso un altro mondo, un orizzonte a cui tendere. Quello europeo. “La bicicletta è un simbolo europeo. È stata creata in Europa e l’Europa è ancora il centro del movimento, sia ciclistico che di riconquista degli spazi. Non ho mai capito perché l’Unione europea non l’abbia inserita tra i valori europei. È il simbolo della libertà e della fratellanza. Non è questo a cui ambite voi nell’Ue? Ho sempre studiato sia qua, che quando sono stato in Francia e in Italia che l’Unione europea è nata per evitare altre guerre in Europa. Poi però le istituzioni non si accorgono di avere il simbolo di tutto questo… non lo capisco proprio il perché”, dice Dmytro.
Forse certe dinamiche appaiono più evidenti dall’esterno, ci si fa mai davvero caso da dentro. La bicicletta in Europa è stata concepita, in Europa ha iniziato a muoversi e in Europa ha iniziato a superare le barriere degli stati. Il Tour d'Europe era il grande sogno di Vincenzo Torriani, un progetto europeista per dimostrare che il ciclismo era in grado di unire paesi che in nessun altro modo potevano essere uniti. Lo realizzò nel 1954, ma non fu un successo commerciale.
La bicicletta stava conquistando spazio e attenzione in Ucraina. Leopoli ha iniziato nel 2013 un adeguamento della mobilità, “anche se un po’ pigra a dire il vero”, sottolinea Dmytro, “ma quanto meno che iniziava a considerare la possibilità di girare in bici”. Nel 2018 Kyiv aveva dato il via alla realizzazione dei primi 240 chilometri di ciclabili che doveva essere completati nel 2023 e aveva già iniziato a lavorare a un progetto che avrebbe portato a circa mille chilometri (compresi le ciclovie non urbane entro il 2050).
Tutto questo supera però la mera questione infrastrutturale. “Dalla bicicletta passava l’ingresso reale dell’Europa in Ucraina. Il nostro paese stava discutendo con Bruxelles la possibilità di ingresso di una ciclovia europea nel nostro paese. C’erano diverse idee. Quella allo stato più avanzato di programmazione era una doppia variante dell’EuroVelo 6, la ciclovia che segue il corso del Danubio. Una partiva da Budapest e avrebbe potuto a Mukacheve e da lì salire verso Leopoli. L’altra avrebbe messo in comunicazione Galați (Romania) e Odessa. In Transcarpazia e sul Mar Nero il cicloturismo era già una realtà”, aggiunge Dmytro.
L'economia delle biciclette riguardava aziende che producevano telai, accessori, componentisca. Riguardava bike sharing e start up che stavano sviluppando nuove trovate tecnologiche e aziende che queste novità le avevano già portate sul mercato. Una di queste è Delfast, che come business principale avrebbe quello delle consegne a domicilio, ma che ha realizzato una ebike con autonomia di oltre 350 chilometri.
I cicloturisti erano aumentati a doppia cifra negli ultimi anni in Ucraina. Dal centinaio di presenze in bicicletta in Trascarpazia del 2015 si era passati alle quasi cinquecentomila del 2021. Soprattutto cicloturisti ungheresi e polacchi, “ma anche tedeschi e scandinavi iniziavano a vedersi. D’altra parte i paesaggi sono belli, il costo delle strutture alberghiere è più basso che altrove e le strade, escluse quelle delle città, non sono troppo trafficate. L’allungamento delle ciclovie avrebbe permesso alla parte occidentale del paese di fare una salto in avanti, di creare un’economia reale attorno alla bicicletta. Le ciclovie erano l’ingresso dell’Europa in Ucraina, avrebbero avuto non solo un impatto economico, ma soprattutto avuto una rilevanza culturale. Le truppe di Putin hanno ucciso anche questo”.
“La bicicletta è il modo che ha contraddistinto parte del sentirsi europei di una generazione di giovani ucraini. Per questo che non la molliamo. Neppure in guerra”, conclude Dmytro.