E' davvero poco nazionalista il naZionalismo di Orbán

Micol Flammini

L’Ungheria vuole mediare per la tregua e studia come pagare il gas in rubli, come vuole Putin

C’è sempre un punto sulla mappa dell’Unione europea in cui si rompe l’unità dei paesi membri. Questo punto di frattura è l’Ungheria di Viktor Orbán, che domenica si è aggiudicato un quarto mandato consecutivo: il quinto della sua carriera. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, Orbán è rimasto fedele a Vladimir Putin, è stato l’unico leader europeo a non isolare il presidente russo e anzi, la sera in cui ha vinto le elezioni ha anche detto che la sua era una vittoria contro Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino che lo criticato per il suo atteggiamento compiacente nei confronti del Cremlino. Orbán è l’uomo di Putin in Europa e infatti una delle prime mosse del suo nuovo vecchio governo è stata quella di dire che Budapest stava studiando il modo per pagare il gas in rubli, come vuole il presidente russo. Gli altri leader europei si sono rifiutati, perché pagare in rubli vorrebbe dire indebolire l’effetto delle sanzioni. Il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi,  e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, hanno detto con chiarezza a Putin che gli europei erano tutti contrari e che il pagamento del gas sarebbe continuato secondo i contratti: in euro. Tutti d’accordo tranne Orbán. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha detto che l’Ungheria sta lavorando a una soluzione tecnica per pagare il gas in rubli e ha aggiunto che non vede la necessità che la Commissione europea prepari una risposta congiunta da parte di tutti i paesi che importano il gas russo. Il messaggio è semplice: noi a Budapest faremo come vogliamo, come vuole Putin. 

 

Poco prima dello scoppio della guerra, Viktor Orbán era andato al Cremlino dicendo ai colleghi europei che sarebbe andato a parlare di pace e di gas. La conferenza stampa fu un disastro, Putin la concluse senza neppure salutare, ma il premier ungherese assicurò che le forniture di gas per l’Ungheria non era a rischio e la pace neppure. Ora il premier ungherese ha detto di essere pronto a mediare per porre fine alla guerra. Ha invitato il presidente russo a Budapest, e, secondo Orbán, avrebbe dato una risposta positiva pur mettendo delle condizioni. Un incontro a Budapest sarebbe molto sbilanciato, Orbán non ha certo mantenuto l’equidistanza che si addice a un mediatore, si è dimostrato apertamente dalla parte della Russia, affannato nel tentativo di fermare i piani europei per contrastare l’invasione e nell’offrire a Putin il suo sostegno. Non si è limitato a condannare Putin molto blandamente – ha detto: “I russi sanno che noi facciamo parte della Nato e che siamo avversari. Noi condanniamo l’aggressione all’Ucraina  –  si è spinto oltre attaccando Zelensky e usando la guerra per rivendicazioni nazionalistiche sulla Transcarpazia, una zona dell’Ucraina abitata da ungheresi. 

 

Orbán è il capofila dei nazionalisti europei ma se nazionalista è colui che che fa di tutto mettendo al primo posto il bene della sua nazione, il premier ungherese sembra invece mettere al primo posto la sua lealtà a Putin, i suoi legami ideologici, un’ammirazione che gli nasce, come ha detto Orbán stesso, dal fatto che Putin ha fatto riemergere la Russia dalle ceneri dell’Unione sovietica. La fedeltà al Cremlino è il contrario del nazionalismo, è fare tutto ciò che all’Ungheria non conviene, che va bene a Putin, ma non ai cittadini ungheresi.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)