Un giudice a Bucha?
Fragile un'imputazione per genocidio alla Corte dell'Aja. Parla il giurista De Sena
“Allo stato attuale è difficile dimostrarlo, tanto più con Putin che ha più volte ribadito l’unità di ucraini e russi. Sono gli stati che decidono se, in che modo e fino a che punto le corti possono agire", dice il presidente della Società italiana di diritto internazionale
"I tribunali penali internazionali fanno quello che possono”, dice così al Foglio Pasquale De Sena, presidente della Società italiana di diritto internazionale e professore ordinario all’Università di Palermo. “Sono gli stati che decidono se, in che modo e fino a che punto le corti possono agire. Lo Statuto della Corte dell’Aja non è stato sottoscritto da Stati Uniti, Cina e Russia. Neanche l’Ucraina ne è parte. Sembra quasi che la non adesione sia un contrassegno dell’entrata nel club delle superpotenze. Per contro, l’Italia è tra i paesi firmatari ma a distanza di ventiquattro anni dall’entrata in vigore deve ancora introdurre nel nostro ordinamento i crimini previsti dallo Statuto, recentemente il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha costituito una commissione per rimediare a questo ritardo”.
Veniamo al conflitto in corso: quali sono i margini di intervento della Corte penale internazionale? “La Corte può intervenire sulla base della dichiarazione, formalmente depositata dal governo ucraino nel 2015, che accetta la sua giurisdizione per i crimini di guerra e contro l’umanità commessi sul territorio ucraino. Il crimine di aggressione non rientra nella sua competenza poiché esso richiede che quest’ultima sia accettata da entrambi gli stati coinvolti”.
Da dove proviene la ritrosia di numerosi paesi a vincolarsi sotto l’egida della Cpi? “C’è la riluttanza delle grandi potenze: gli Usa sono impegnati in diversi teatri del mondo con migliaia di soldati che rischierebbero di essere esposti alle accuse di crimini internazionali. Lo stesso vale per la Russia che ha condotto guerre nel suo ‘vicino estero’”. Le immagini delle fosse di Bucha e Borodyanka evocano la parola “genocidio”. “In realtà, sul piano della probatio una eventuale imputazione per genocidio sarebbe fragile, oggi. Tale crimine richiede actus reus e mens rea, vale a dire un dolo specifico, l’intenzione deliberata di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale, religioso. Nel processo nei confronti del generale serbo bosniaco Radislav Krstic davanti al Tribunale per la ex Yugoslavia, esistevano prove imponenti della intenzione di commettere un genocidio a Srebrenica: la quantità enorme di persone – tutti civili, o prigionieri di guerra – eliminate in pochi giorni; abbondanti documenti del progetto di colpire la popolazione musulmana. Allo stato attuale è difficile dimostrarlo per l’Ucraina: da dispacci di Ria Novosti, tradotti da qualcuno in italiano, sembra che l’obiettivo di ‘denazificazione’ riguardi il popolo ucraino nel suo insieme; ma potrebbe trattarsi di mera propaganda, tanto più che lo stesso presidente Putin ha più volte ribadito l’unità di ucraini e russi”.
Per il crimine di aggressione potrebbero attivarsi i giudici interni. “Ad oggi non mi risulta che un giudice nazionale abbia perseguito un capo di stato per un simile crimine. I capi di stato in carica godono, del resto, di immunità dal processo e inviolabilità personale. Per di più, Putin resta il capo di stato di una potenza nucleare, a meno che non si verifichi un rovesciamento del regime”.
L’obiettivo è la pace o il regime change? “La ricerca di un cambio di regime desta perplessità perché potrebbe allungare il conflitto con conseguenze imprevedibili. Secondo un sondaggio pubblicato da Atlantic Council, Putin godrebbe di un largo consenso tra i cittadini russi. E poi dovremmo riflettere sulla liceità di determinare un cambio di regime in un paese estero, per di più da parte di paesi terzi: si tratterebbe infatti di una macroscopica ingerenza negli affari interni di un altro stato. Sarebbe come rispondere ad un’aggressione con un’aggressione compiuta con mezzi diversi”. L’estromissione della Russia dai consessi internazionali aiuta la pace? “La risposta è no. Taluni sostengono che le sanzioni, depotenziando l’attuale regime, spingerebbero verso il tavolo negoziale. Ma l’enorme pressione sanzionatoria e punitiva rischia di sfociare, in realtà, in un conflitto bellico più ampio, con una potenza nucleare”. La pax americana è tramontata. “Come insegna Norberto Bobbio, la pace, per essere stabile, deve fondarsi sull’equilibrio, non sull’egemonia di un unico soggetto”.