La politica estera e di difesa della Germania resterà la spina dorsale del rinato euroatlantismo
Il decisionismo di Scholz e il nuovo realismo tedesco a fronte dei fatti di Ucraina. Tre romanzi personali per capire la svolta di Berlino
La svolta politica nella posizione della Germania verso la Russia è ancora sottovalutata o addirittura guardata con diffidenza. Eppure, salvo sorprese drammatiche nelle elezioni francesi, la politica estera e di difesa di Berlino è destinata a restare il capo e la coda della intera storia bellica, la spina dorsale del rinato euroatlantismo ossia dell’unica alternativa alla vittoria strategica del Cremlino e della Cina. Il capo socialdemocratico dello stato, Frank Walter Steinmeier, ha sottoposto a un riesame critico netto le inclinazioni pro russe dei decenni trascorsi, e lo ha fatto pubblicamente, nel pieno delle sue funzioni, riferendosi sia alla lunga stagione di Angela Merkel sia al peso che nelle scelte di politica estera e energetica ha avuto il suo partito, la Spd. Già questo riesame del passato a largo spettro è sintomo di una pena nazionale, che le decisioni attuali di Olaf Scholz e del suo governo sugli aiuti militari all’Ucraina resistente, sul riarmo e sull’obiettivo di eliminare la dipendenza energetica dalla Russia rappresentano nella versione per così dire laica, razionale o geopolitica.
Un indizio utile a comprendere il nuovo realismo tedesco a fronte dei fatti lo porge la considerazione di tre grandi romanzi personali e politici, quelli di Willy Brandt, di Gerhard Schröder e di Angela Merkel. Certo c’è la geografia: abbiamo tutti imparato che la Germania per la sua storia e i suoi confini è insieme parte decisiva di quell’entità che si dice Europa occidentale e di un fantasma molto carnale che è l’Europa centrale, la Mitteleuropa. Certo ci sono gli interessi economici e commerciali, a buon titolo rivestiti di politica e del più generale interesse nazionale, primo fra tutti il commercio con la Russia e con la Cina, l’apertura verso oriente, sintetizzata nella leggendaria teoria dell’assonante Wandel durch Handel, il cambiamento attraverso lo scambio commerciale. Ma questo non basta a mostrare o a spiegare la radicalità e la dolorosa problematicità della svolta attuale.
Brandt, il cancelliere dell’Ostpolitik, l’uomo di stato che si inginocchiò penitente ai piedi del monumento ai caduti del ghetto di Varsavia, era un prodotto della Seconda guerra mondiale, espatriato e resistente in Norvegia contro il Reich, dove assunse il nome di battaglia tramandato alla storia e per cui è conosciuto. Realizzò una politica di apertura alla Russia sovietica che aveva ampie motivazioni e spinte schiettamente politiche; la rivestì, con il vigore dell’autentico, di un tremendo e tipico sentimento che ha un posto particolare nell’anima tedesca: il senso di colpa (in questo caso verso le vittime della Wehrmacht e delle SS, gli ebrei e la Russia). Tutti ricordano che quando la Germania prese risolutamente la guida della lotta al debito, dal Trattato di Maastricht alla crisi greca passando per l’insieme delle politiche di austerità, fu evocato fino allo sfinimento il doppio significato della parola Schuld: debito e colpa. Brandt è all’origine della Germania com’è riemersa dopo l’unificazione con la sua parte orientale e segnò il ritorno al potere e alla capacità strategica della vecchia socialdemocrazia. E la sua opera, il suo romanzo personale, sono incomprensibili senza i suoi atti simbolici e senza considerare la terribile nemesi finale, le sue dimissioni dopo la scoperta dell’infiltrazione kagebista del suo intimo circolo personale attraverso l’agente Günter Guillaume, progenitore della figura di un Vladimir Putin.
Schröder è il predecessore socialdemocratico di Angela Merkel, per certi aspetti l’uomo di stato che ha tracciato il solco della longeva Kanzlerin assumendo la guida del paese, con la sua Neue Mitte riformista, negli anni dell’accesso al potere e della prima fioritura di Putin. Ha fatto una dichiarazione contraria alla guerra in Ucraina, poi si è confermato capo di Rosneft e nel consiglio d’amministrazione di Gazprom, dopo oltre tre lustri di collaborazione dall’interno dell’inner circle con il suo amico Vladimir nel settore cruciale dell’energia e del gas. E’ banale pensare che si sia “venduto”, sebbene aspirasse a uno status di elder statesman ben pagato e riverito, come molti altri omologhi hanno fatto in Europa e altrove. Anche qui si racconta un Bildungsroman, anche qui è leggibile un campione di romanticismo tedesco. Schröder è amico di Putin, amico personale, andava in slitta con lui e rispettive famiglie, a Natale, quando era cancelliere; usciva con lui, germanofono dai tempi del servizio segreto a Dresda, dall’isolamento procuratogli dal suo cattivo inglese; e aveva lo stesso sanguigno rango di ex poverissimo, famiglie abituate alla caccia al topo in appartamenti promiscui.
Per caso passai a Pietroburgo nella strada della sede di Gazprom, passeggiando tra le meraviglie della città del fiume e dei canali, e mi imbattei in strade deserte e mattutine nelle grandi manovre delle scorte impegnate alla tutela di una funzione pubblica o privata importante: qui raccontai al tempo che, come dissero il giorno dopo le cronache e le foto dell’abbraccio, erano i preparativi del compleanno di Gerhard (7 aprile, auguri), una cerimonia che fu festeggiata con Putin nel palazzo memorabile del principe Yusupov, un gioiello della storia sfarzoso e memore dell’assassinio aristocratico del monaco Rasputin, l’eminenza grigia della corte imperiale dello zar Nicola II.
L’altro romanzo personale, il più recente e controverso, riguarda Angela Merkel. Nata a Amburgo nel 1954, visse per trentacinque anni a novanta chilometri da Berlino, nella Repubblica democratica di Germania, patria socialista separata. Lì si formò, con un padre pastore protestante, e lì studiò (a Lipsia) e nacque alla politica nel tempo della rivoluzione antisovietica e della riunificazione tedesca. Blut und Boden, sangue e terra. Lo sguardo diplomatico e commerciale di Merkel verso Russia e Cina, la sua diplomazia erede di una lunga tradizione divenuta bipartisan, il suo ancoraggio pieno all’Europa atlantica, occidentale, con la riserva di una funzione tedesca d’avanguardia nell’integrazione dei mondi, tutto ciò si mostra anche nella storia personale, che non è mero colore, tanto è vero che solo lasciando il cancellierato Merkel accennò a aprirsi sul proprio profilo di soggetto del sistema politico e istituzionale sovietico, con un tono malinconico e forse elegiaco capace di mostrare un suo realistico ritratto di donna e di Ossie.
Helmut Kohl ha giganteggiato nel momento risolutivo dell’89, con la sua bonomia d’acciaio e il suo legame di ferro europeista con François Mitterrand, ed era l’espressione massima della tradizione euroconservatrice e popolare che sta al principio della rinascita tedesca (l’erede di Adenauer e di Erhardt), ma a guardare le storie di chi è venuto prima e dopo di lui, da Brandt a Merkel passando per Schröder, si vede bene che portata e radicalità, e quali difficoltà ancora da definire, siano insite nella scelta del loro successore socialdemocratico di recidere alleanze a geometria variabile, Wandel durch Handel, e schierarsi dalla parte giusta senza riserve. Nazione, persona e Romantik sono parenti stretti.