contro i bambini

Perché i russi hanno colpito la stazione di Kramatorsk

Micol Flammini

Sono state prese di mira persone che fuggivano dalla guerra, un edificio pieno di sfollati in cui Mosca sapeva che avrebbe potuto fare molte vittime. I funzionari russi negano e parlano di borsch. Cosa vuol dire la scritta sul missile

La stazione di Kramatorsk, città ucraina nell’oblast di Donetsk, è stata colpita da un missile russo  con lo scopo  di uccidere i civili che in questi giorni stanno cercando di lasciare il Donbas. In attesa di un treno che li portasse via, c’erano almeno quattromila sfollati, ne sono morti più di 50. Kyiv ha accusato Mosca e Mosca ha accusato Kyiv. Non ha alcun senso che l’esercito ucraino uccida i suoi  cittadini, ma a ogni attacco  i funzionari di Mosca sono pronti a dire: noi non c’entriamo. Lo hanno ripetuto anche dopo la scoperta del massacro di Bucha, sul quale ogni giorno escono  prove che testimoniano le responsabilità di Mosca. Nei giorni scorsi le autorità ucraine del Donbas avevano invitato i cittadini a lasciare la regione, dove si concentreranno gli attacchi russi nelle prossime settimane. Temono che presto la zona diventerà molto pericolosa, che non ci saranno più ospedali per curare i feriti e inoltre un’area sgombra di cittadini aiuta  le manovre dei soldati di Kyiv, quindi  la stazione  ieri mattina ospitava chi è in fuga dal fronte e Mosca sapeva che lì avrebbe fatto molte vittime, perché tante persone provano a fuggire da un conflitto sempre più brutale.

 

Sul primo canale della tv russa si attribuiva  la responsabilità a Kyiv e si disquisiva sul fatto che Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, avesse dato ordine di colpire i cittadini perché non vuole che lascino la zona.  Per dimostrare di non essere responsabile, Mosca ha detto che i missili Tochka, il tipo che avrebbe colpito la stazione, sono usati dagli ucraini. E’ vero, ma ne fa uso anche l’esercito russo, come ha confermato il canale televisivo della Difesa, Zvezda. Non c’è bisogno di fare l’elenco delle assurdità che il Cremlino usa  per negare le proprie responsabilità, ma vale la pena citare la conferenza stampa di ieri in cui  la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha spiegato  che gli ucraini hanno osato rivendicare la zuppa  borsch  come una loro ricetta senza volerla condividere con altri e questa sarebbe una  prova di “xenofobia, razzismo, nazismo”. In molti hanno detto che la Zakharova era ubriaca, ma è così che la propaganda  cerca di giustificare una guerra insensata.  

 

Il missile  che ha colpito la stazione di Kramatorsk è finito a quaranta metri dal luogo dell’impatto e aveva su un lato la scritta za detej, per i bambini. Quindi, l’attacco che oggi Mosca nega sarebbe stato anche una vendetta. La scritta potrebbe riferirsi ai bambini del Donbas, che secondo la propaganda russa sarebbero stati uccisi dall’esercito ucraino in questi otto anni di guerra. Ma la parola “bambini” potrebbe invece riferirsi ai giovani soldati morti in queste settimane. In un’intervista a Sky News, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha ammesso che le perdite sono state ingenti, e l’ammissione è  insolita. Mentre Mosca si prepara a mandare al fronte altre reclute con nessuna esperienza nel combattimento finge di provare  rabbia per tutti i giovani soldati  morti. Ma dalle storie che arrivano dal fronte, è il Cremlino il primo a non preoccuparsi per i suoi figli. Per i genitori è molto complesso avere notizie, alle famiglie delle vittime è stato promesso un compenso, ma molti soldati risultano dispersi e non ci sono le basi per ricevere il compenso. Nella regione di Irkutsk, ai parenti delle vittime è stata abbonata la tassa sulla spazzatura, e anche questo non è un segno di rispetto per i soldati al fronte, vivi o morti. 

 

Il missile con la scritta “per i bambini” alla stazione ne ha uccisi almeno cinque di bambini. Erano ucraini, della zona del Donbas, quella che il Cremlino sta andando a liberare. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)