(foto di Ansa)

Il test macron

Cos'è cambiato dal 2017 per il presidente francese e perché è arrivato qui tutto di fretta

Jean-Pierre Darnis

Concentrato sul conflitto in Ucraina, Emmanuel Macron ha comiciato la campagna elettorale in ritardo e con un'agenda che è quasi la stessa del 2017. Per la prima volta sente il fiato di Le Pen sul collo

Ci risiamo. Come nel 2017 le presidenziali francesi  di questo fine settimana sembrano dirigersi verso un ballottaggio fra Emmanuel Macron e Marine Le Pen per il secondo turno. E’ davvero una sorpresa? Di fatto non lo è, ma all’interno di questo déjà vu le dinamiche sono cambiate. Lo spostamento a destra dell’elettorato francese era annunciato: il presidente Macron è in grado di presidiare il centro mentre la sinistra non è riuscita a piazzare un proprio candidato, sia per le sue divisioni interne sia perché il suo elettorato si è ridotto. Lo sfidante di Macron andava cercato a destra e molti hanno pensato che l’attivismo e la bravura mediatica di Eric Zemmour avrebbero pagato, ma anche che Valerie Pécresse potesse finalmente incarnare il rinnovo del partito neogollista.

 

La dinamica pre elettorale sembra aver invece giovato a Marine Le Pen che si è rivolta a un elettorato fedele, popolare e provinciale, potendo anche apparire come una “moderata di estrema destra” se paragonata alla strategia di provocazione perpetua di Zemmour. Pécresse invece è stata maldestra e pure un pochino sfortunata.  Ci ritroviamo quindi di fronte allo stesso scenario del 2017, quello che aveva visto il giovane candidato Macron prendere un netto sopravvento al secondo turno sulla Le Pen. Ma oggi le cose stanno diversamente. Macron non ha fatto campagna elettorale. Si è gettato nella mischia il più tardi possibile, tentando di non mettere in gioco troppo presto il vantaggio di essere già l’inquilino dell’Eliseo. Così si è ritrovato a dover iniziare la campagna in contemporanea con l’inizio del conflitto in Ucraina che ha assorbito quasi tutte le sue energie e il suo tempo, anche in quanto presidente di turno dell’Unione europea. E’ come se avesse iniziato la campagna elettorale la settimana scorsa a pochi giorni dal voto.

 

 

Nel frattempo sono esplosi casi mediatici difficilmente controllabili, dalla denuncia parlamentare delle consulenze che l’amministrazione francese delega a società come la McKinsey, fino alla morte di un giovane uomo di confessione ebraica, Jeremy Cohen, dopo essere stato vittima di violenze collettive per strada. Il primo caso riattiva la diffidenza nei confronti delle élite, e anche il sospetto di collusione con società anglosassoni, mentre il secondo fa emergere una possibile aggressione a sfondo antisemita rilanciando temi sulla sicurezza cari all’estrema destra.  Questi eventi hanno costretto Macron a rispondere nel merito impedendogli, nel breve tempo rimasto, di presentare un bilancio del mandato e una proiezione sul futuro.

 

La guerra in Ucraina ha suscitato un desiderio di sicurezza e protezione che gioca a favore di chi esercita già le responsabilità del potere come Macron. Nel primo mese della guerra esisteva un forte bisogno di continuità che spingeva ad affidarsi all’attuale presidente, il che lo ha distratto dal gioco politico interno. Il partito di Macron, La République en marche, non è mai riuscito a diventare una forza politica di militanza radicata sul territorio e Macron ora corre dei rischi. Dalla settimana scorsa poi l’attualità è tornata a essere più varia, il che significa che ci si aspettava anche da parte del candidato Macron un’offerta politica rinnovata che non fosse la mera ripetizione dell’agenda del 2017 non del tutto realizzata. Quest’esigenza è come una prova di verità del voto, che deve vedersela con gli umori del paese.

 

Macron è stato abile a gestire una serie di crisi, dai gilet gialli al Covid, ma alcuni problemi espressi durante questi momenti di lacerazione richiedono qualcosa in più della fortuna politica di un brillante leader troppo spesso percepito come distante ed elitario. Ed è su questo punto che Marine Le Pen ha saputo arare con costanza il campo dell’elettorato popolare, quella Francia spesso povera che rifiuta Macron. Poi l’immagine della Le Pen è migliorata: pur rimanendo sostanzialmente poco competente, rappresenta molto meno lo spauracchio temuto da tutti.  La competizione per il ballottaggio si fa tesa, anche perché sia l’astensione sia i trasferimenti di voti di sinistra peseranno sullo scrutinio. Si tratta di uno scenario di reale pericolo per Macron che dovrà riuscire, in qualche modo, a riagganciare in un paio di settimane la leadership politica che aveva saputo incarnare nel 2017. Alla fine, un altro sofferto appuntamento con il proprio destino. 

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