Le purghe del Cremlino

Micol Flammini

Putin fa fuori chi avrebbe dovuto rendere gli ucraini filorussi. Da Vladislav Surkov al Quinto servizio dell’Fsb

L’arresto di Vladislav Surkov non è stato confermato ma secondo l’ex deputato della Duma Ilya Ponomarev, che è stato suo confidente,  sarebbe agli arresti domiciliari per appropriazione indebita nel Donbas. Di ideologi del Cremlino, di uomini pronti a scrivere la strada che la nuova Russia avrebbe dovuto prendere dopo la caduta dell’Urss, ne sono venuti fuori molti negli anni. Ma Surkov è uno di quelli che hanno seguito Vladimir Putin fin dagli inizi. Surkov ha costruito la carriera del presidente russo, le sue mosse  e ne ha anche segnato il cammino, politico e ideologico,  in Russia e anche  in Ucraina. Se il suo arresto venisse confermato sarebbe un avvertimento politico importante: il presidente russo cerca i colpevoli del fallimento della guerra  ovunque e in modo particolare fra tutti coloro che hanno avuto a che fare con l’Ucraina.  

 

Christo Grozev, direttore del sito di inchiesta Bellingcat – una testata che ha fonti  dentro all’intelligence russa e che in questi anni è riuscita a fare indagini importanti: dall’abbattimento del volo della Malaysia Airlines all’avvelenamento di Alexei Navalny – ha raccontato che le epurazioni dentro all’Fsb sono arrivate a colpire più di cento agenti, tutti dipendenti del Quinto servizio, una divisione creata nel 1998 per mantenere legami stretti nel paesi dell’ex Unione sovietica e mantenerli nell’orbita di Mosca. Il Quinto servizio era stato creato quando Putin era direttore dell’Fsb e già da questo si capisce quanto il futuro presidente avesse una sua idea sul crollo dell’Unione sovietica che in futuro avrebbe definito “la più grande catastrofe geopolitica  del Ventesimo secolo”. Ovviamente il Quinto servizio era molto attivo anche in Ucraina e il suo capo, Sergei Beseda, è stato uno dei primi a essere arrestato dopo l’inizio dell’invasione. Uno dei compiti del Quinto servizio è quello di raccogliere informazioni di intelligence e di riferirle a Mosca ma anche di creare dei legami e  un ambiente favorevole  a collaborare con il Cremlino, oltre a una rete di aiutanti e propagandisti filorussi e anche di destabilizzare il panorama politico del paese.

 

L’accusa contro Beseda è di appropriazione indebita, proprio come Surkov, ma quello che gli verrebbe in realtà rimproverato è il fallimento dell’invasione. Beseda non avrebbe quindi creato la sua rete di filorussi, quelli che avrebbero dovuto attendere l’esercito di Mosca a braccia aperte, e non avrebbe neppure riferito al Cremlino le condizioni sul campo così com’erano, e in più sarebbe anche sospettato di aver passato informazioni alla Cia. Il passato non si scorda mai nella cerchia di Putin, torna quando bisogna fare delle promozioni, quando bisogna scegliere gli uomini fidati – il presidente ha attorno a sé amici di infanzia e compagni del Kgb, ora Fsb – e torna anche quando bisogna trovare delle colpe. Beseda ha lavorato a lungo al controspionaggio prima di assumere la guida del Quinto servizio e quindi ha avuto molti rapporti con l’intelligence americana. Non bisogna dimenticare che Washington ha previsto tutto in questa guerra, ascoltava le conversazioni tra Putin e i suoi generali, e il Cremlino cerca quindi una talpa fra chi doveva essere già abituato a parlare con gli americani. Secondo diversi esperti che hanno fonti tra l’intelligence russa, Beseda non era una spia al soldo degli americani, ma evidentemente ha speso male il denaro che veniva dal Cremlino per destabilizzare l’Ucraina. Mosca avrebbe stanziato un budget illimitato  per reclutare ucraini e  creare cellule filorusse e secondo Grozev gli uomini dell’Fsb, dai cento ai centocinquanta, avrebbero invece cercato di comprare reclute offrendo viaggi molto costosi in Thailandia, Cipro, alle Maldive: evidentemente quello che avrebbero voluto loro per passare dall’altra parte. 

 

Surkov era l’uomo che ha supervisionato la politica dell’Ucraina negli ultimi anni, uno degli ispiratori. Era convinto che l’Ucraina non esistesse e chiamava la sua voglia di essere una nazione un disturbo psichico, una passione improvvisa per l’etnografia. Diceva che al posto di uno stato ci fosse “una sedicente nazione” e quando ha lasciato il Cremlino, nel 2020, si pensava che fosse una concessione a Kyiv per dimostrare che quelle idee non erano del Cremlino, erano di un suo funzionario, certamente importante, ma non il presidente. Oggi possiamo dire che quelle idee erano proprio del Cremlino, Putin le ha riscritte in un suo saggio  in cui affermava le stesse idee di Surkov. Non lo ha mai rinnegato. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)